di Sergio Di Cori Modigliani
Guy Debord o Jean Baudrillard non avrebbero battuto ciglio e non si sarebbero stupiti del fatto che Donald Trump è l'attuale presidente degli Usa. Con lui, infatti, la società dello spettacolo raggiunge il suo acme. E' anche giusto che sia così. La nazione che ha inventato Hollywood, cioè la più colossale macchina di produzione di sogni e fantasie mai concepita nel mondo -responsabile attiva nella produzione dell'immaginario collettivo del pianeta- porta a compimento una fase. Dopo Donald Trump (sempre nel caso che ci sia un "dopo") la società dello spettacolo così com'è, non esisterà più.
E' come pensare a una icona sexy dopo Marilyn Monroe e Brigitte Bardot.
I tempi cambiano comunque, sia che la società evolva e progredisca, sia che involva e regredisca. Cambiano quindi i meccanismi, i trend, le mode di riferimento.
La società dello spettacolo è stata una diabolica idea geniale a metà degli anni'70, quando il sistema capitalista occidentale traballava sotto i colpi della più massiccia rivoluzione sociale culturale negli ultimi 100 anni. Vittoriosa. Basti pensare che nel 1914 (tanto per fare un esempio nazionale) in Italia il 5% della popolazione possedeva il 90% della ricchezza del paese. Nel 1934, grazie al fascismo, il 5% era arrivato al 94%, massima punta registrata. Nel 1945, il solito 5% possedeva il 91% di un paese ridotto in macerie.
Nel 1962, il 5% possedeva il 78% della ricchezza nazionale.
Nel 1968, il 5% possedeva il 72% della ricchezza nazionale.
Nel 1972, il 5% possedeva il 68% della ricchezza nazionale.
Nel 1974, nel corso di un convegno organizzato in Usa dall'allora presidente Richard Nixon, Nelson Rockfeller, Henry Kissinger e George Bush, al quale venne invitata la crema dell'oligarchia planetaria occidentale, vennero presentati uno studio dell'ufficio studi del Ministero del tesoro italiano, uno studio della Cgil, uno studio dell'ufficio relazioni sociali dell'Iri dove si sosteneva che proseguendo su quel trend, nel 1990, ad esempio in Italia, il 5% avrebbe posseduto il 49,5% della ricchezza nazionale, il più alto livello di re-distribuzione equa della ricchezza dal 1861. Idem in Francia, Gran Bretagna, Germania e Usa.
Era necessario intervenire.
Penso che nacque in quella riunione della Trilateral l'idea di lanciare un piano strategico culturale il cui fine dichiarato consisteva nel capovolgere quelle cifre e fermare la diffusione di ricchezza collettiva e l'allargamento di benessere. In Usa venne stampato e diffuso il memorandum di Powell, in Italia si lanciò il progetto di Licio Gelli per abbattere la produzione di notizie, la diffusione di informazioni, spettacolarizzando ai massimi livelli possibili gli eventi della realtà. Venne pompato all'inverosimile il gossip al posto delle indagini e inchieste giornalistiche. Poco a poco si cominciò a diffondere un'aria nuova e diversa, finchè non avvenne la grande rivoluzione berlusconiana (riuscita e trionfante) che consisteva nel capovolgere la realtà italiana (paese dinamico, attivo, produttivo, colto e intelligente) e passare dalla politica del mercato al mercato della politica. In venti anni, la rivoluzione del berlusconismo cognitivo ha portato a una nuova situazione socio-cultural-economica per cui, oggi 2017, quel 49,5% sembra un sogno fantasioso. Gli ultimi dati ci rivelano che il 5% della popolazione italiana possiede di nuovo il 90% della ricchezza nazionale, come nel 1914.
Non avendo nella nostra tradizione il culto della memoria, non ci si rende conto di trovarsi (come in un film di fantascienza) in età pre-fascista. E' quindi comprensibile che i post-fascisti cerchino di cogliere al volo questa situazione attuale per legittimare la loro ideologia, che appare seducente così come nel 1919, quando gli agricoltori meridionali, massacrati dalla disoccupazione, dallo sfruttamento e dalla carneficina della Grande Guerra, fondarono i Fasci di combattimento.
Oggi, è il turno degli Usa.
Per la prima volta nella loro giovane storia (soltanto 250 anni alle spalle, a differenza di Roma che ne ha più di 2.500) si trovano ad affrontare l'esperienza del totalitarismo.
Tinto e intinto dentro il puro spettacolo, si intende. Così oggi si manifesta.
Ma l'effetto Paradang ci aiuta a comprendere la realtà ispirandoci ottimismo e suggestioni.
Paradossalmente, infatti, la presa del potere in Usa, da parte dell'estrema destra reazionaria americana, sta comportando un risveglio della coscienza collettiva statunitense che presto scenderà in campo. E presto, ne vedremo delle belle.
Personalmente parlando, sono quasi contento che Donald Trump sia il presidente Usa.
Con Hillary Clinton avremmo prolungato l'agonia dell'ignobile consociativismo al ribasso. Esperienza tragica, drammatico abbaglio di una sinistra progressista suicida e infingarda.
Donald Trump rappresenta la punta di diamante del fascismo post-moderno nell'era digitale.
E porta con sè il fascino iniziale che ogni fascismo totalitario produce sempre all'inizio della sua epopea, imponendo, inevitabilmente, dei nuovi trend e aprendo un'autostrada di enormi possibilità di successo futuro per il pensiero progressista delle masse planetarie. Finisce in soffitta (mi auguro per sempre) la peggiore famiglia che la sinistra abbia prodotto negli ultimi 300 anni in occidente, quella composta dai Clinton/Bersani/Zapatero/Hollande/D'Alema, nata da un gravissimo errore teorico di base, miope e ottuso: l'idea che sia possibile aprire una trattativa con i marpioni dell'oligarchia della finanza. Non è così.
Non lo è mai stato.
L'evento che si è verificato ieri in Usa produrrà un vero e proprio ciclone.
In quel paese esiste un tale equilibrio dei poteri che attribuisce massima libertà operativa all'esecutivo, il quale se la deve vedere con il Congresso che è però sottoposto al controllo dell'organo legislativo americano, il cosiddetto "terzo potere" il quale, per tradizione riconosciuta, è rappresentato dai 9 giudici della Corte Suprema di Giustizia. Vengono eletti dal presidente e rimangono in carica a vita. Sono in numero dispari e vince la disposizione che ottiene 5 voti, per garantire l'esistenza di una minoranza di opposizione. La loro responsabilità è altissima, perché sta a loro decidere (in maniera insindacabile) sui diritti civili, sulla legittimità dell'uso delle armi, la pena di morte, le questioni ambientali ed ecologiche di interesse collettivo, la libertà religiosa, il rapporto civile tra uomo e donna, genitori e figli, rapporto tra imprenditori e salariati. Nessuna delle grandi conquiste sociali e culturali ottenute dal popolo americano è nata da un ordine esecutivo del Presidente, o da una legge del Congresso, bensì da una irrevocabile decisione della Corte Suprema. Quando nel febbraio del 1962, l'allora presidente in carica John Fitzgerald Kennedy abolì il segregazionismo razziale che impediva ai neri l'accesso alle università, e abolì anche la segregazione religiosa che impediva a laici ed ebrei di poter aspirare a un ruolo dirigente in una qualunque impresa privata (si era obbligati a giurare sul Nuovo Testamento dichiarandosi servitori di Gesù) la classe politica dirigente statunitense più conservatrice si ribellò e chiese l'impeachment del Presidente. Kennedy, che non era un dittatore, invece di fregarsene e mandare le truppe nelle accademie per imporre la sua volontà, scelse di sottoporsi al giudizio della Corte Suprema. Furono i mesi decisivi del futuro dell'America. Dopo una riunione dei 9 giudici durata 74 giorn,i venne deciso di accogliere la scelta del presidente. Quindi, i presidi che non rispettavano la nuova legge, commettevano un reato federale penale e potevano essere arrestati. Nel sud ci fu la rivolta dei razzisti. Ci furono scontri tra razzisti e neri. Decine e decine di morti. Moltissime le pressioni sul presidente affinchè rinunciasse a far valere la Legge. Ma lui stabilì che l'America è pronta a crescere e quindi fece la sua scelta. Insieme a suo fratello, Bob, Ministro della Giustizia, accompagnati dal notaio ufficiale della Corte Suprema, si recarono in Alabama. Annunciarono al preside dell'università di Montgomery che doveva far entrare lo studente di pelle nera che insisteva per far valere il proprio diritto, ma lui si rifiutava. E così, un martedì, i due Kennedy e il notaio, senza neppure le guardie di sicurezza, attraversarono a piedi tutto lo spiazzo antistante il campus accompagnando il giovane afro-americano. Arrivati ai piedi della scalinata d'ingresso c'era il preside, al fianco una decina di suoi collaboratori armati di fucile mitragliatore. L'incontro era trasmesso (per la prima volta nella storia televisiva mondiale) in diretta sul canale NBC. Il Presidente comunicò al preside la decisione della Corte Suprema. Il preside disse che non lo faceva entrare. Allora Kennedy gli disse: "La spina dorsale del nostro paese è la libertà di scelta individuale, sancita dalla nostra Costituzione, salvaguardata dalla Corte Suprema che ha deciso in materia. O lei adesso fa entrare questo ragazzo che ha il diritto di seguire le lezioni oppure sarò costretto a chiedere al mio Ministro della Giustizia di andare a procurarsi un telefono per chiamare gli agenti dell'FBI. La farò portare via in manette. Lei verrà espulso da ogni accademia americana con disonore per indegnità morale, finirà in galera e non potrà mai più per il resto della sua vita avere un impiego nell'amministrazione pubblica in nessuno dei 50 stati. Che cosa ha intenzione di fare?". Rimasero lì a guardarsi per due minuti. Alla fine, il preside cedette e si fece da parte. "Vai, è un tuo diritto" gli disse Kennedy. Il giovane afro-americano salì qualche scalino e poi si fermò. Aveva paura di entrare da solo, temeva che lo uccidessero. I Kennedy lo capirono e salirono insieme a lui entrando dentro l'università. Questo era lo spettacolo politico dell'America nei primi anni'60, ben cinquantacinque anni fa.
Quel giorno nacque il mito dei Kennedy, ancora oggi presente nella memoria collettiva.
La finanza criminale planetaria (la finanza speculativa) liberata dai lacci della Legge da Bill Clinton che nel 1998 scelse di abolire lo Steagall act, voluto da Roosevelt e Keynes nel 1933 per imbavagliare i pirati marpioni, ha prodotto in questo giovane millennio un presidente come Donald Trump, suo figlio legittimo a tutti gli effetti.
Ieri si è svolto l'atto formalmente più importante per un presidente americano: la nomina del nono giudice della Corte Suprema. Il giudice Scalia, infatti, è deceduto sette mesi fa. Barack Obama, legalmente, avrebbe potuto nominarlo lui. Ma ai primi di settembre ha convocato i leader democratici e repubblicani e ha detto che avrebbe rinunciato, essendo lui in via di pensionamento definitivo. Fecero un accordo, come si dice, a gentlemen agreement.
Nel caso avessero vinto i democratici, Hillary non avrebbe scelto un radicale ma un moderato.
Nel caso avesse vinto Trump, avrebbe operato la stessa scelta, al contrario.
L'accordo è stato violato.
Degli 8 giudici in carica 3 sono conservatori (John Roberts, Clarence Thomas, Samuel Alito) 4 sono liberal moderati (Ruth Ginsburg, Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Stephan Breyer). UNo è centrista (Anthony Kennedy). Obama aveva proposto un candidato di compromesso, Merrick Garland, un noto giurista di posizione centrista moderata, approvato da entrambi i partiti. La notte dell'elezione di Trump, il presidente del partito repubblicano ha avuto la educata compiacenza di telefonare a Obama e fargli sapere che non sarebbe stato rispettato l'accordo.
Per la seconda volta nella Storia degli Usa, il popolo americano ha visto in diretta televisiva un evento formalmente decisivo per il suo futuro. Donald Trump ha insistito per rimandare il momento della nomina dalle ore 14 alle ore 20 chiedendo la copertura televisiva totale. Ha anche spiegato di averlo fatto per consentire ai network di vendere pubblicità e far guadagnare soldi a tutti perchè "io sto qui per far fare business". Un suo collaboratore ha protestato sostenendo che non stavano al circo. E' stato licenziato subito.
E così è stato eletto Neil Gorsuch, il più integralista tra tutti i giudici costituzionalisti americani.
Esponente della destra radicale, fanatico religioso, militarista, grande sostenitore della libertà d'armi anche per i minorenni.
Era stato nominato giudice da George Bush nel 1990 ed era finito nella lista dei 41 papabili.
"Sembra la finale di un reality show" ha commentato il corrispondente della CNN, decano dei professionisti accreditati, nel presentare la serata al proprio pubblico televisivo.
"A me sembra la fine dell'America" ha commentato Larry King "ma conoscendo i miei polli non credo proprio che sia la fine degli americani. Anzi. Tutt'altro".
Sono d'accordo con lui.
Per questo sono ottimista.
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