lunedì 10 luglio 2017

La dis-informazione ormai dilaga. E’ ufficiale.

“Che le cose siano così, che stiano così, non vuol dire affatto che debbano andare così. Solo che, quando c’è da rimboccarsi le maniche e incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare”.
                                                                      Giovanni Falcone. Palermo 1988.

Non è certo una novità e non stupisce affatto che la notizia bomba di questo mese di febbraio 2015 sia passata inosservata e sotto silenzio. 
Se avesse avuto una grande eco, infatti, e fosse stata diffusa in maniera virale, per autentico paradosso dei nostri tempi inquieti, l’evento avrebbe annullato matematicamente la notizia rovesciandola nel suo opposto.
Così non è stato.
Quindi, dal punto di vista dell’informazione, niente di nuovo.
Mi riferisco qui alla scelta ufficiale (comunicata in una conferenza stampa in data 12 Febbraio 2015, riproposta in data 22 Febbraio e caduta, in Italia, nel vuoto assoluto) che l’associazione internazionale di professionisti dell’informazione, denominata “Reporters sans frontières” ha decretato grazie ai suoi 4.276 votanti. Tra questi, una rappresentanza delle più importanti culture, etnie, e gruppi sociali di riferimento. Occidentali e orientali, bianchi e neri, cristiani, ebrei, mussulmani, scintoisti e atei, maschi e femmine, giovani alle prime armi e anziani con una lunga operatività di servizio.
Costoro, hanno confermato la Corea del Nord come il peggiore stato tra i 182 presi in esame, e la Repubblica Italiana “il paese in cui, nel 2014, più che in ogni altro in assoluto si è verificato un arretramento generale e collettivo, con una regressione costante e un’attività permanente di disinformazione attiva, facendo retrocedere la nazione di 24 posti nella classifica annuale”.
L’Italia, quindi, è stata identificata come il paese peggiore al mondo come progresso nel campo dell’informazione e della salvaguardia dei diritti civili, “con un trend attivo di peggioramento costante”.
Siamo finiti collocati tra la Repubblica Centroafricana e lo Zimbabwe.
Le reazioni, in Italia, sono state timide e tiepide.
Sul web (in lingua italiana) quasi niente. 
Tra le chiacchiere di facebook, ancora meno.
Alla tivvù non c’è stato nessun direttore di testata giornalistica che ha ritenuto opportuno dedicare all’argomento un talk show, una intervista ai votanti, un servizio, un editoriale.
Un contributo, davvero imbarazzato, è stato fornito da Alberto Statera, sul quotidiano la Repubblica, in data 23 Febbraio 2015, a commento di un lungo servizio apparso sulla rivista settimanale statunitense Newsweek, nel quale si sostiene che l’Italia sta vivendo “la stagione più violenta e di più ampia diffusione e permeazione della mafia e della criminalità organizzata dal 1990”.
Non c’è molto da scegliere, quindi, perchè di materiale c’è n’è davvero pochissimo.
Tra questi, propongo all’attenzione dei miei lettori, il servizio di Giulio Cavalli, pubblicato sul suo blog personale. Attore, scrittore, teatrante, attivista politico nella lotta contro tutte le mafie, che attualmente vive sotto scorta dei carabinieri, ci ha regalato un bel pezzo informativo raccogliendo le poche voci che si sono espresse al riguardo.
Ci eravamo accorti che ci fosse stato un tragico peggioramento nella qualità dell’informazione (soprattutto sul web), con uno sdoganamento totale del gossip puro, del complottismo con finalità scandalistiche, della dietrologia priva di sostanza giornalistica, e una spaventosa proliferazione di non-notizie il cui unico fine consiste nell’aggiudicarsi click elettronici a fini pubblicitari e/o narcisistici, oppure svolgere attività propagandistica di tipo elettorale pilotando notizie con l’unico obiettivo di favorire il proprio partito, gruppo, associazione, movimento di appartenenza, senza avere mai come fine quello di fornire un servizio a disposizione della cittadinanza e diffondere informazioni relative a eventi dell’esistenza che non comportino l’adesione a una fazione oppure a un’altra.
Da aggiungere il fatto che i dati relativi al nostro paese sono stati, invece, commentati e dibattuti a lungo in altri paesi europei, (parlo qui di quelli a noi affini, alleati e complici, come la Spagna, il Portogallo, la Francia, ecc.) il che ci fa comprendere alcune delle ragioni sostanziali che hanno spinto le altre nazioni del mondo a considerarci inattendibili, inaffidabili, irrilevanti.
E’ ciò che stiamo diventando, con la complicità di tutti noi.

Il solito, grazie: indignati e disinformati

mappamondo
http://www.giuliocavalli.net/
Poche righe sui giornali per segnalare la classifica di RSF. Molti commenti indignati, grande silenzio sull’origine dei dati
Molti giornali hanno mostrato sorpresa per il fatto che il 12 febbraio scorso Reporters sans Frontières abbia retrocesso l’Italia di 24 posti in un anno, collocandola al 73.mo posto su 180 paesi classificati in base alla libertà di stampa.
La notizia è stata liquidata sui giornali italiani con notizie di poche righe, come un fatto inspiegabile e curioso. Nei giorni successivi alcuni hanno commentato il fatto con toni più o meno indignati. Solo qualcuno ha letto per intero il comunicato di Reporter Sans Frontières e ha cercato di spiegare il perché, di fare notare che quest’anno, per la prima volta RSF ha basato il suo giudizio su un monitoraggio più puntuale e preciso dei fatti che accadono in Italia nel modo dell’informazione: per la prima volta si è basato sul monitoraggio di Ossigeno per l’Informazione, che da anni rivela un preoccupante aumento delle querele pretestuose e intimidatorie, in particolare di quelle promosse dai politici.
Sabato 15 febbraio il vicedirettore del Corriere della sera, Pierluigi Battista, senza prendere in considerazione i dati citati,  ha riservato alla classifica di RSF un commento sarcastico che si conclude con la frase: “Non credeteci”. A Battista hanno replicato il giornalista Mimmo Candito,a nome di Reporters Sans Frontières Italia, e l’avv. Caterina Malavenda, uno dei massimi esperti di diritto dell’informazione.
Mimmo Candito ha sottolineato in un articolo che RSF descrive una difficoltà reale dell’informazione italiana difficilmente contestabile, essendo basata sui fatti narrati da Ossigeno per l’Informazione, che sono stati attentamente verificati.
Caterina Malavenda ha scritto che “quale che sia l’opinione sulla attendibilità della graduatoria”, lo scivolone dell’Italia “non è comunque una bella notizia” e fa però, ancora meno piacere sapere che tale regressione viene attribuita in parte alle minacce nei confronti dei giornalisti, provenienti il più delle volte dalla criminalità organizzata e seguite spesso da aggressioni fisiche o da incendi dolosi; ed in parte al numero elevato di processi per diffamazione ingiustificati, che possono dissuadere dal diffondere notizie vere, ma scomode, anche senza il ricorso ad amputazioni o censure. “Eppure, basterebbe intervenire sulle norme che oggi non prevedono alcuna reale conseguenza per chi, senza averne motivo, fa causa – il che spiega anche il proliferare di iniziative infondate nei confronti dei giornalisti a mero scopo dissuasivo”.
Di analogo tenore il commento di Alberto Statera (la Repubblica, 23 febbraio 2015) che ha opposto a Battista proprio i dati citati da RSF, sia pure senza dire che i dati sono di Ossigeno.
Più obiettivi e documentati sono stati il commento di Roberto Ciccarelli “Quando il carcere è perfino meglio delle super multe” sul Manifesto del 13 febbraio 2015 e diNewsweek.com, 12 febbraio 2015: Italian Mafia Intimidating Journalists With Worst Levels of Violence Since 90s

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