venerdì 4 gennaio 2019

L'Orlando Furioso non mi piace.



di Sergio Di Cori Modigliani

La memoria non è un optional e, come è noto, per un Paese ammalato da almeno 30 anni di Alzheimer sociale, i temi di attualità arrivano, soprattutto ai giovani, in maniera degradata perchè privi della sostanza interna coltivata dall'analisi dei processi della Storia. Nasce così la confusione, la mancanza di punti di riferimento e la pubblicazione continua di notizie deprivate dei frammenti di verità collettive.
L'uscita di Leoluca Orlando, che in queste ore sta infiammando el pueblo unido, anzi meglio, le uscite di due campioni del populismo deteriore della sinistra festivaliera come De Magistris e Orlando, mi appaiono come una modalità propagandistica di chi -con agghiacciante cinismo- bada soprattutto ai propri elettori e non ai bisogni della collettività.
Leoluca Orlando non è, per me, un personaggio politico attendibile, sotto nessun punto di vista. E chi conosce bene la Storia d'Italia lo sa benissimo. Lo ricordo protagonista promotore di una vergognosa macchina del fango contro il giudice Giovanni Falcone nella tarda primavera del 1990, arrivando al punto tale di presentare un esposto contro il compianto magistrato, sostenendo (a quei tempi) che Falcone rappresentava un pericolo per la democrazia e andava rimosso dal suo incarico. Da quel momento, il partito di Orlando (si chiamava "La rete") inizia una furibonda campagna di attacco personale contro Giovanni Falcone, che è finito isolato ed emarginato. Ricordo una puntata a maggio 1990 della trasmissione Samarcanda dove questo potente democristiano (per l'appunto, Leoluca Orlando, il quale se ne va dalla DC alla fine degli anni'80 quando finisce la guerra fredda e fonda un suo personale movimento populista) compare in televisione e così, con enorme sorpresa di tutti, attacca frontalmente Giovanni Falcone. In quel momento, il giudice era sostenuto politicamente soltanto da tre importanti soggetti politici: il socialista Claudio Martelli, e i ministri democristiani Mino Martinazzoli e Sergio Mattarella. Era un momento delicatissimo della vita nazionale, e quell'attacco furibondo e frontale contro il giudice Falcone rimase (e tuttora rimane) scolpito nella memoria collettiva di chi ha seguito la vita politica di questo Paese.
Tutto ciò per dire che, il sottoscritto, non si fida del più violento populista italiano (Salvini, Conte e Di Maio sono novizi infantili in confronto) e, prima di saltare sul carro della chiamata alle armi di Leoluca Orlando, sarebbe il caso che el pueblo unido vada a controllare eventi, accadimenti e alleanze della biografia politica di chi (come appare chiaro) intende porsi come nuovo leader della sinistra populista antagonista.
Il sottoscritto, allora, era fortemente schierato dalla parte di Giovanni Falcone.
Lo è ancora.
La memoria non è un optional.



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