“Non esiste civiltà nè progresso se c’è la guerra. Non esisterà mai un futuro fintantochè non verrà accolta l’aspirazione di tutti i popoli a vivere nella pace e nella solidarietà. Forse non è lontano il giorno in cui tutti i popoli, dimenticando gli antichi rancori, si riuniranno sotto la bandiera della fraternità universale e, cessando ogni disputa, coltiveranno tra loro relazioni assolutamente pacifiche, quali il commercio e le attività industriali, stringendo solidi legami. Noi aspettiamo quel giorno”.
Teodoro Moneta (1833-1918) dal suo discorso di accettazione del Premio Nobel per la Pace nel 1907.
Il 24 Maggio del 1915, s’infrangeva contro uno scoglio, e finiva in tragedia, il grande sogno di Teodoro Moneta, la più censurata, rimossa e dimenticata tra tutte le eccellenze italiane degli ultimi 150 anni.
Tra i suoi tanti successi, va ricordato il fatto che è stato l’unico italiano nella storia ad aver conseguito il Premio Nobel per la pace nel 1907, ma nessuno lo ricorda mai e pochissimi lo sanno. Non è certo casuale. Animatore, ideatore e fondatore del movimento pacifista europeo, aveva avuto un passato militare da coraggioso combattente. Aveva partecipato sulle barricate alle cinque giornate di Milano in pieno Risorgimento, poi era andato volontario tra i garibaldini diventando attendente sul campo del generale ed infine era stato promosso a comandante in campo nella tragica battaglia di Custoza nel 1866. Dopo quest’esperienza, si ritira per qualche anno in campagna a studiare, meditare e lavorare come contadino nella sua proprietà terriera. E s’innamora del pacifismo. Elabora una sua teoria visionaria sul “futuro dell’Italia per le generazioni che verranno” scrivendo dei testi di economia politica, nei quali spiega come l’Italia abbia delle colossali possibilità di sviluppo e di progresso ponendosi in Europa come “la più importante potenza neutrale del continente, rinunciando perfino all’idea di avere un esercito, se non per compiti civili interni” e spiega come la vera svolta epocale per la nostra nazione consista nel diventare meta internazionale che attira capitali, investendo ogni risorsa finanziaria nell’educazione, nelle nuove tecnologie, nella scienza e soprattutto nel turismo, garantendo a tutti gli investitori stranieri il fatto che “per principio” non parteciperà mai a “nessuna guerra, nessuna alleanza di tipo militare, arrivando financo alla rinuncia di ogni tipo di schieramento e allineamento, se non quella per lo sviluppo dell’idea pacifista e di solidarietà tra i popoli nel mondo”. Fervente cattolico, viene chiamato dall’editore Sonzogno (verso la fine del secolo XIX) a dirigere un settimanale, “Il Secolo”, importante pubblicazione dell’epoca che contribuiva a formare l’opinione pubblica. Si scontra con l’autorità del Vaticano perchè propugna idee anticlericali sostenendo “l’assoluta necessità di sottrarre lo stato centrale del Regno d’Italia, inteso come nazione, alle pressioni della Chiesa, per fondare uno stato di rappresentanza laica dell’intera cittadinanza”. Nel 1906, a spese proprie, con i soldi personali della sua rendita privata (un’antica famiglia aristocratica milanese), come provocazione intellettuale e protesta contro “la nefandezza della speculazione finanziaria sviluppata nella miopia di uno Stato che ha scelto di non essere pedagogico”, costruisce un proprio padiglione personale all’Expo 1906 di Milano, il “Padiglione per la Pace” che diventa il più frequentato tra tutti, con una incredibile partecipazione di persone e personalità da tutta Europa, per conferenze, dibattiti, discussioni, forum, diventando il centro intellettuale di tutte le attività espositive del centro meneghino. In virtù della sua instancabile attività e anche in conseguenza del trionfo del suo padiglione all’Expo di Milano, l’anno dopo gli viene conferito il Premio Nobel per la Pace.
Muore nel 1918, con il suo nome già appannato in seguito all’eccitazione della guerra.
Nel 1929, dopo la firma del concordato con la Chiesa, in un celebre discorso all’università di Roma davanti ai GUF (Gruppi Universitari Fascisti), Benito Mussolini lo cita ricordando “la necessità di cancellare per sempre il suo vile nome pusillanime dalla coscienza del popolo italiano, sempre più vicino e incline alla riconquista del proprio spazio sovrano, da combattenti che aspirano all’orizzonte di gloria che ci attende”.
Nel corso dei decenni a venire, si è scelto (evidentemente) di seguire la traccia indicata da Mussolini e il nome di Teodoro Moneta non è stato mai né ricordato, né studiato, per valorizzare la sua memoria e il suo importante lascito. Lo faccio oggi, con questo post, sottolineando la scarsità della veduta intellettuale degli organizzatori dell’Expo 2015, del governatore della Lombardia Maroni e del sindaco della città, Pisapia. Per non parlare della negligenza (o piatta ignoranza) dei media italiani, che non hanno dedicato un adeguato ricordo a questo precedente storico, scrivendo e raccontando alla tivvù le attività di Expo 2015. Un giusto ricordo ad un nostro intellettuale, stranoto e famoso in tutta Europa e in tutto il mondo pacifista, citato da Gandhi e omaggiato da Bertrand Russell che gli aveva fatto dedicare addirittura un padiglione nella scuola di Filosofia dell’Università di Oxford.
Basterebbe questo fatto per comprendere come ciò che ci unisce oggi, come nazione, al di là della nazionale di calcio, della solita zuppa melensa sulle nostre città d’arte e dell’incomparabile dovizia di meraviglie in termini di spiagge, colline, campagne, montagne (un semplice colpo di fortuna voluto dal Signore, certamente non merito nostro), sia l’Arte della Rimozione Perenne, che il nostro Paese insiste a coltivare, proseguendo verso il proprio inarrestabile declino.
In questa giornata, che la piatta retorica del 2015 regala ai giovani come il simbolo di una epopea vittoriosa, ci tenevo a riportare la copertina dell’Avanti in data 25 Maggio 1915 che annunciava “la preparazione di un ennesimo macello di popoli” e invitava gli spiriti più sereni e meno miopi a coltivare l’arte del recupero storico della memoria collettiva per restituire dignità alla nostra cultura e al nostro sapere nazionale di comunità.
Non siamo una grande nazione, non lo siamo mai stati.
Non c’è nulla da celebrare, se non ricordare chi è stato cancellato nel tempo della memoria storica perché troppo pericoloso per i guerrafondai, per i finanzieri, e per i loro complici.
No alla guerra.
Nel senso di qualunque guerra essa sia.
Io mi tengo stretto il ricordo di Teodoro Moneta.
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