giovedì 8 novembre 2012

Innamorarsi del cambiamento: non c'è altra scelta. Che cosa accadrà, adesso in Usa?



di Sergio Di Cori Modigliani



L’amore e la sessualità sono i due principii cardini del motore delle pulsioni umane, e sono sempre stati il veicolo principale che accende passioni, suggestioni, ambizioni, sogni, progettualità, in ogni etnia, dovunque e comunque: rappresentano l’Essenza Umana. Ne è ben consapevole l’industria pubblicitaria che li usa entrambi. Un interessante studio dell’istituto di sociologia di Zurigo, realizzato lo scorso febbraio presso le dieci più importanti agenzie europee che producono e vendono pubblicità, ci segnala come il 92% dei messaggi audiovisivi che noi ingurgitiamo ogni giorno facciano riferimento o al sesso a all’amore o a entrambi, in maniera dichiarata o subliminale.
E’ un fatto notorio.
La Politica funziona nello stesso modo: si occupa di sessualità e amore, entrambe trasferite in contesti socialmente diversi, ma psicologicamente identici. Seguono lo stesso percorso. La carica simbolica dei rivoluzionari, dei leader, dei comandanti, è sempre pregna di una quota strabordante di passionalità, che ogni etnia presenta in maniera soggettiva, a seconda dei propri riferimenti culturali. Lo psichiatra Thomas Szazs, in una sua celebre conferenza a New York nel 1972, spiegò questo principio con elementare quanto convincente argomentazione: “fintantochè le donne seguiteranno a  farsi i ditalini guardando la fotografia appiccicata sul muro di Che Guevara con il sigaro penzolante dalla bocca e la scoppola in testa inclinata, l’industria del tabacco seguiterà a vendere avvelenando la salute, i maschi insisteranno per indossare un copricapo ossessionati dalla propria capigliatura, e la classe intellettuale conservatrice non riuscirà più a convincere nessuno su nulla, perché lo scenario reale dello scambio sociale è stato spostato dall’illusione fittizia del denaro al valore principale dell’esistenza: l’orgasmo”.
Fu proprio questa celebre conferenza a far fare un salto sulla sedia agli oligarchi statunitensi, i quali dissero “basta così” capendo che Thomas Szasz aveva ragione. Chi ha tempo e curiosità può andare a leggersi in rete –lo trovate dovunque in tutte le salse, anche tradotto in italiano- il famoso “memorandum di Powell” uno scritto di una ottantina di pagine che qualche mese dopo cominciò a circolare nei ristrettissimi giri dei potenti che allora davvero contavano. Fu proprio in quegli anni, il triennio 1972-1975, che l’elite degli oligarchi aristocratici iniziò la sistematica pianificazione dell’attacco al risveglio di una nuova consapevolezza collettiva di massa, sapendo che per riuscire a costruire il mondo nel quale noi oggi ci troviamo (siamo quotidianamente immersi nel loro trionfo) ovverossia il mondo che a loro piaceva, un mondo  che garantisse la tenuta e salvaguardia della rendita parassitaria dell’1% dell’umanità a danno del 99%, era necessario andare a colpire prima (quantomeno in occidente) la struttura simbolica dell’immaginario collettivo, impadronendosi dei codici comportamentali inconsci dell’amore e della sessualità e poi veicolarli nel terreno più facile da gestire e manipolare: quello della paura e della monetizzazione dell’esistenza. Per mercatizzare il sapore della vita (cioè ridurre gli esseri umani in una massa appoltigliata di individui convinti che il danaro sia il primo valore dell’esistenza) era necessario applicare alla politica, ai mass media, e soprattutto alla cultura, tutta quanta la struttura marketing pubblicitaria, trasformando la politica in un “qualcosa da vendere come una saponetta” e non più in un “oggetto di desiderio”. In tal modo la politica –qui intesa come azione sociale- non diventava più un tramite, una delega, un veicolo di idee appassionate (indifferentemente di destra di centro o di sinistra) composto da aderenti a quella specifica idea, mossi da impulsi d’amore per quel partito, quei leader, quelle proposte, quei progetti, con il fine dichiarato di coronare un sogno d’amore sociale condiviso: “la realizzazione di un orgasmo sociale” (l’ottima definizione è del filosofo statunitense Sennett, e consiglio la lettura del suo ultimo libro tradotto in italiano “Insieme” pubblicato nel 2011 presso l’editore Feltrinelli di Milano), bensì la vendita di un prodotto. E così la Politica si trasformava in Anti-politica e le idealità della sinistra o della destra finivano per diventare equivalenti, basate sul principio marketing pubblicitario per cui “un prodotto vale l’altro, ciò che conta è il packaging” ovvero la modalità di presentazione del pacchetto che l’elettore potenziale deve acquistare. L’aderente a una certa idea non finisce più per iscriversi a un partito o votare per una certa personalità sulla base di una sottostante idea amorosa eccitante, bensì rimane ipnotizzato dalla confezione; acquista un prodotto senza interrogarsi né sul contenuto né sul fatto se abbia bisogno o meno di quello specifico oggetto: il trionfo del consumismo a perdere.
La classe dei politici, pertanto, da “esperti in problemi di organizzazione sociale e gestione del bene comune collettivo” sono diventati “agenti marketing operativi di un meccanismo pubblicitario”. Si è verificata una vera e propria rivoluzione, passando dalla “politica del mercato” (ovvero l’incontro/scontro tra parti sociali diverse e antagoniste su come regolare lo scambio sociale tra individui) al “mercato della politica”: il grande sogno della pubblicità.
Lo hanno inventato gli americani, questo giochetto. Lo hanno codificato, teorizzato,  ideologizzato, strutturato, imposto in tutto l’occidente (vedi memorandum di Powell). Ne hanno tratto i frutti previsti e prevedibili pensandolo e immaginandolo come eterno. E hanno iniziato il lento declino della loro società (a loro insaputa) perché questo meccanismo si è verificato un boomerang.
Esattamente come le manovre economiche dell’austerità liberista (frutto non casuale di quella strategia intellettuale) che si stanno rivelando un atroce boomerang che finirà per travolgere tutte le ricche economie dell’occidente prima, del resto del mondo poi.
La società che è stata creata è diventata un aggregato di individualità piatte, completamente desessualizzate ed è stata creata la più repressa e repressiva società degli ultimi decenni: il sesso e l’amore sono diventati valori di mercato e non più finalità orgasmiche e orgasmatiche. L’America ha finito per produrre nuove icone di riferimento dei modelli sexy comportamentali per le masse, legando sempre di più i soldi al sesso (vedi Lady Gaga presentata sempre come la più ricca donna al mondo) in un processo di continua mercatizzazione mentale dell’immaginario collettivo.
Nella colonia Italia, questo processo è stato affidato ai due re della pubblicità, Silvio Berlusconi e i comunisti. Berlusconi in quanto campione esperto in grado di saper vendere l’aria fritta e il nulla; i comunisti italiani campioni esperti nel presentare l’oligarchia del privilegio come esponente rappresentante nella società civile dei ceti lavorativi. La celeberrima frase intercettata tra due importanti leader comunisti italiani “finalmente abbiamo una banca” è impressionante non perché riveli qualcosa di illegale o nascosto (questo aspetto non mi interessa) quanto piuttosto perché rivela quello che è stato il loro obiettivo “politico”: avere delle banche per sedersi al tavolo dell’oligarchia invece che combattere per rovesciare quel tavolo, ovverossia l’applicazione alla lettera del memorandum di Powell: mercatizzare la vita sociale di una nazione.
L’esasperante e continua presentazione (dovunque e comunque in tutti i media, da quelli mainstream ai social network, nel privato e nel pubblico) di una società composta da delinquenti, truffatori, manutengoli di bassa lega, come ci viene presentata l’Italia di oggi, seguita a essere il veicolo principale dell’attuale modello coloniale italiano voluto e gestito dagli oligarchi, la gestione strategica e scientifica di un processo forzato di “costruzione collettiva del disinnamoramento degli individui; l’allargamento dello scoramento, la diffusione della delusione, l’organizzazione capillare della depressione collettiva, l’azzeramento del desiderio” che va di pari passo con la nuova moda trionfante voluta dagli oligarchi “parlate pure di tutto ciò che volete, a condizione che parliate sempre soltanto di soldi, di economia, di tecnicismi, di monete, di aliquote, di percentuali, di teorie economiche, di grandi sistemi economici, e mai delle narrative esistenziali degli individui, delle problematiche della relazionalità, del comportamento, dell’emotività, della sessualità, del desiderio”. La teoria del bunga bunga, la bulimia di Lusi, le spese pazze di Fiorito, le vacanze di lusso di Formigoni e gli altri esempi noti appresso, sono tutte tessere di un mosaico ben congegnato che serve a far veicolare il concetto (nei maschi) che senza soldi non c’è sesso e non c’è amore mentre (nelle femmine) si impone l’idea o di sistemarsi con qualcuno con i soldi o di  frequentare qualcuno con i soldi e incorporare l’idea di usare il corpo e la sessualità come mezzo e tramite, mai come fine.
In entrambi i casi vince sempre la BCE.
Perché si impone il modello di una sessualità identificata con un concetto di mercatismo e di consumo, dove il desiderio passa solo e soltanto attraverso la simbolica del danaro. Oggi, riuscire a coagulare interessi, passioni e aggruppamenti in un qualunque consorzio umano che non preveda l’uso di termini economici e che non viva di quotidiana religiosità mercatista, in Italia, diventa un’impresa da leoni, pressoché impossibile. Il sistema politico/marketing italiano è sorretto dalla cupola mediatica asservita che ha imposto linguaggi pubblicitari, di cui la punta dell’iceberg è il termine “offerta politica” come se un progetto e un’idealità fosse un prodotto che va acquistato. Inconcepibile quindi, in Italia, per gli oligarchi, la sola esistenza di un movimento come quello di Grillo che non ha neppure un prodotto da vendere e che rifiuta la pubblicità in quanto non offre nulla: il suo dichiarato scopo consiste nell’aperta confessione che ai suoi aderenti viene chiesta la sottrazione al meccanismo imperante. Non hanno un programma (come chiede la “vecchia politica”), un  progetto suddiviso in punti precisi, un totem di riferimento. Il punto è che non c’è bisogno di nessun programma, di nessun  progetto, di nessuna teoria, perché qualunque sia la proposta, il sistema attuale desessualizzato è in grado di incorporarlo nel proprio frullatore omologato del pensiero nullo. E’ necessario, invece, modificare la propria comportamentalità, il proprio approccio esistenziale, attraverso la costituzione di un pensiero laterale inconcepibile per l’oligarchia (non sono in grado neppure di capirlo, questo è il bello) la quale teme per davvero un’unica minaccia: la risposta “non mi interessa la sua offerta perché a me non interessa nessun tipo di offerta dato che io mi situo in un tipo diverso di mercato esistenziale”. Loro –cioè gli oligarchi- seguitano a pensare in termini pubblicitari: cambiamo il pacchetto, così proponiamo una nuova offerta perché lanciamo un nuovo modello (Alfano e Berlusconi e la Santanchè un giorno sì e uno no) e non si rendono conto che sta cambiando la “logica del consumo” proprio perché in questi decenni loro avevano vinto.
Hanno depauperato la spina dorsale dell’esistenzialità dei cittadini svuotando le vite di contenuti, di desiderio, di sogni da poter realizzare, mercatizzando l’immaginario e quindi non hanno più presa sul pubblico degli acquirenti, perché “l’acquirente”  non esiste più: ci è passata la voglia di acquistare. Se il potenziale consumatore, cioè noi cittadini, risponde infatti con un’assenza di acquisto, qualunque sia la offerta, “il mercato della politica” crolla da solo per sovraproduzione.
La forza dell’oligarchia consiste nel riuscire a spingere l’immaginario collettivo verso la sua “sezione aurea orgasmica”, cioè i soldi, creando la facile arma “dell’invidia e del livore sociale”; fintantoché saranno invidiati possono dormire sonni tranquilli, sanno che i cittadini saranno disposti e disponibili a sopportare qualsivoglia nefandezza pur di sapere che esiste una qualche minima possibilità di essere come loro. Ma se uno si sottrae, per loro è la fine. Se uno dice (perché lo sente e ci crede) “ma io non ci voglio andare in un albergo a cinque stelle super extra lusso esclusivo”, per gli oligarchi suona come una campana a morto. Per loro è fondamentale che la gente ami il concetto di esclusività. Che, va da sé, comporta il meccanismo di esclusione. E’ il grande sogno della piccola borghesia italiana: essere accolti tra i privilegiati per poter finalmente vendicarsi del destino sociale e poter escludere altri, e così facendo perpetrare il meccanismo per l’eternità. Il sogno piccolo-borghese italiano consiste nell’andare contro i grossi padroni per poter negoziare con loro e diventare padroncini di qualcun altro, magari diventando deputato o qualcosa di simile. Se si esce dal desiderio e dall’ invidia per “tutto ciò che è esclusivo” e si contesta il principio iniziando, invece, a “sessualizzare” l’idea di “inclusione” e non quella di “esclusione”, il sistema attuale si inceppa.
La rivoluzione necessaria è esistenziale, spirituale e culturale, non economica.
Basta, come primo passo, ritornare all’innamoramento per “le inclusioni”, cominciare a sentirsi attirati dal concetto di socialità aperta, a sentirsi magnetizzati verso l’incontro e non verso lo scontro, evitando lo snobismo becero di chi cerca di coprire la propria miseria interiore mostrando di essere migliore degli altri, il che non è che un meccanismo pubblicitario male applicato. Così si sottrae agli oligarchi il diritto a essere rispettati e il dovere di essere invidiati. E si libera se stessi.
Non sarà certo l’economia a cambiare le esistenze (substrato filosofico e zoccolo duro della teoria liberista) non lo è mai stato e non lo sarà mai. Caso mai, è vero il contrario: sono i cambiamenti sociali, l’irruzione sulla scena di nuovi soggetti politici, di nuovi ceti, di una nuova classe intellettuale, la necessità di un nuovo contratto sociale, che finiscono per avere un’onda di risonanza gigantesca sull’economia che si adatta alla nuova realtà prendendone atto. Non è stata la rivoluzione industriale a produrre il pensiero di Monsieur Voltaire, ma l’esatto opposto. In Italia, i partiti stanno “fingendo” di non essersene accorti perché vivono nel terrore che i propri accoliti, iscritti, burocrati, e in ultima istanza, la magistratura competente, presenti loro il conto della Storia. Gli attuali partiti politici italiani sono rimasti  vittime del loro stesso linguaggio, della loro pratica, della loro “offerta” che non trova più acquirenti. E poiché sono ormai abituati a quell’unica modalità di relazione, ovvero quella mercatistica-pubblicitaria, non sanno che pesci prendere. Gli è rimasta soltanto la televisione che giorno dopo giorno aumenterà il volume e la violenza della manipolazione, che si ingigantirà dopo l’uscita di Beppe Grillo, molto pericolosa, perché dimostra di non averne bisogno e quindi c’è il rischio che la gente comprenda che esiste “anche” un’altra realtà, diversa e distinta da quella degli imbonitori televisivi, sia di destra che di sinistra.
 I mercati non determinano un bel nulla perché la teoria filosofica liberista (che sostiene questa argomentazione) è errata. Non è così. Sarebbe così soltanto in un mondo di robot. Ma l’umanità non è ancora robotizzata, ha ancora voglia di far l’amore, bisogno di carezze, desiderio di eccitarsi, ambizioni oniriche da esprimere. Il mercato si adatta alle circostanze storiche e produce in anticipo (i più abili e veloci) ciò che sa domani verrà chiesto dagli utenti, quindi è l’opposto di ciò che i liberisti sostengono.
 E’ ciò che sta accadendo in Usa, società giovane che guarda al futuro.
 Anche se immersa nella grande crisi epocale che sta attraversando, è disposta ad affrontare qualunque guado, qualunque sacrificio, qualunque sfida, pur si seguitare a vivere: loro non sentono il peso della Storia come noi europei, vecchi, decadenti, oppressi ciascuno dalle proprie paranoie locali. Una società, quella americana, che ha subìto egli ultimi quindici mesi una impressionante trasformazione alchemica nel tessuto sociale che la compone. E L’immediata reazione dei mercati, delle banche, dei colossi finanziari e delle segreterie politiche europee alla vittoria elettorale di Barack Obama, ne sono la prova lampante; la vecchia guardia ha dato una furibonda risposta molto negativa; il che avrebbe potuto (o dovuto) anche stupire, dopotutto quel signore appena eletto non è una novità. Ciò che ha sconvolto gli oligarchi è stata la presa d’atto che “dobbiamo cominciare a pensare che i soldi non servono più, il che non è facile da accettare”; una frase, questa, che non è stata pronunciata da un buddista o un romantico spaesato movimentista, ma da Robert Murray, proprietario di miniere di carbone in Usa, grande sostenitore di Romney, che ha investito 400 milioni di euro (una bella cifra) nella campagna elettorale di tre stati negli ultimi venti giorni, dove il suo candidato ha perso, cercando di spiegare perché il carbone e il petrolio sono fondamentali per la nazione. Non se l’è bevuta nessuno. E non è stato certo l’unico a rimetterci. I primi conti spiccioli segnalano che i grossi gruppi finanziari monopolisti hanno perso in borsa, in otto ore, circa 50 miliardi di euro andati in fumo. Ma nessuno ha spiegato perché.
In verità, gli Usa (etnia molto diversa dalla nostra) ha subìto nell’ultimo anno un cambiamento davvero radicale, epocale Il movimento “occupy wall street” non è stato l’artefice di questo cambiamento, per nulla: ne è stato l’effetto, il che è diverso. La società americana si sta preparando ad accettare l’idea di un capovolgimento totale della propria precedente idea del mondo, scommettendo sul fatto che il “grande cambiamento” garantisce loro un futuro, anche da leader.
Come si sta verificando con il continente sudamericano.
E’ giusto che siano le società storiche più giovani a scrollarsi di dosso il capitalismo mercantile che è stato rivoluzionario nel 1712 ma che è diventato reazionario nel 2012. E’ per questo che gli oligarchi stanno portando a fondo la battaglia per abbattere e cancellare tutte le conquiste sociali ottenute nel mondo grazie alla rivoluzione francese del 1789: sanno che questi 300 anni di Storia si sono conclusi: la Storia è finita.
O si va avanti o si ritorna all’epoca precedente al 1712, non esistono altre vie d’uscita.
Si è sviluppata in Usa una gigantesca domanda di mercato per la produzione immediata della green economy eco-sostenibile, nata dal lento lavoro (durato circa 40 anni) di chi ha contribuito a diffondere e produrre una nuova consapevolezza sociale di massa. L’America sta a un centimetro dal dichiarare estinta la società nata dal carbone e dal petrolio e gran parte dei colossi finanziari lo sanno benissimo e stanno cercando disperatamente di riconvertirsi. Se lo possono permettere, così come se lo potevano permettere nel sec. XIX essendo gli Usa il più grande produttore al mondo sia di carbone che di petrolio. Oggi, gli Usa, sono diventati “tecnicamente” il più grande laboratorio operativo di aziende operanti nel campo dell’energia sostenibile pulita e vi sono circa 500.000 aziende (di cui il 15% proviene dal segmento investimento petrolifero che hanno abbandonato) pronte a investire circa 2.000 miliardi di dollari nel prossimo biennio per lanciare un piano di massa di investimento e ristrutturazione nelle infrastrutture del territorio. Hanno l’appoggio totale e incondizionato del Giappone (il 42% di tali società sono in joint venture con i nipponici) e hanno l’appoggio di vasti settori dell’imprenditoria tedesca più lungimirante e i più visionari e lucidi tra gli sceicchi arabi: nel 2013, l’Abu Dabi e l’Oman investiranno circa 50 miliardi di dollari per produrre nel deserto le prime città energeticamente autosufficienti attraverso combustioni all’idrogeno ed elettriche prodotte in loco.  Il problema della produzione elettrica per automobili ed aerei consiste, com’è noto, nelle batterie. Ebbene, negli ultimi sei mesi, a Wall Street, le aziende che hanno ottenuto maggiori profitti sono quelle relative alla produzione “di microtecnologia avanzata nel campo elettromagnetico” che hanno goduto di sussidi governativi nell’ordine di 100 miliardi di dollari nell’ultimo triennio; sono le uniche aziende ad avere segno + sia ieri che oggi. Sono aziende che studiano prototipi di nuove batterie piccolissime e potentissime, in grado di poter far volare un aereo per 10.000 chilometri senza necessità di ricarica. Gli Usa hanno investito in ricerca e innovazione e Obama è un uomo davvero molto molto ambizioso, non è un ragioniere piccolo-borghese come il nostro narcisista e vanesio primo ministro, un modesto impiegato di consorterie oligarchiche obsolete. Obama vuol passare alla storia come il leader che ha cavalcato la più grande rivoluzione economica degli ultimi 300 anni: la riconversione energetica del territorio. Il piano di Obama consiste nello sfruttare i grandi deserti nel territorio Usa per iniziare a costruire modelli avanzati di produzione di energia pulita a costo bassissimo per diventare di nuovo leader nel pianeta. Perché leader del pianeta sarà chi produrrà energia. Allo stesso tempo intende lanciare un gigantesco piano di investimento nel campo dell’agricoltura a chilometro zero (per gli statunitensi) con il surplus da esportare nel resto del pianeta e diventare leader nel campo dell’alimentazione mondiale, in tal modo risolvendo anche gravi problemi di disoccupazione in Usa. Del debito pubblico, Barack Obama se ne frega, quello è un problema per le società obsolete. Lo ridurrà (lo ha già spiegato) stampando centinaia di miliardi di dollari, in tal modo finendo per far entrare dalla finestra la patrimoniale di lusso, perché aumenterà l’inflazione e quindi diminuirà di molto il valore delle rendite finanziarie in possesso dei ceti più privilegiati; mentre i ceti meno solidi soffriranno per l’inflazione ma avranno la splendida sorpresa di vedere annullare la disoccupazione rimettendo in gioco il mercato del lavoro: Se io guadagno 100 ma l’inflazione è al 6% invece che al 2%, ma so anche che posso trovare con facilità un lavoro dove mi pagano 110, diventa per me una prospettiva incoraggiante, e così via dicendo. In Usa c’è molta chiarezza sul nuovo scenario che si sta aprendo. Sta nascendo un nuovo asse potenziale per lasciare alle future generazioni un mondo vivibile e migliore di quanto lo sia oggi. Dopo sessant’anni, e dopo vent’anni dalla fine della guerra fredda, gli accordi di Yalta vanno in cantina e diventano Storia. L’assetto del Nuovo Ordine Mondiale vede, oggi, uno scenario inedito: da una parte Usa-Giappone-Sudamerica (compatti e uniti) con il quasi accordo inclusivo della Gran Bretagna, la quale, guarda caso, proprio tre giorni fa ha annunciato che probabilmente “cancelleremo il nostro debito pubblico” schiacciando un pulsante sul computer. Gavyn Davies (ex capo economista di Goldman Sachs, dimessosi e passato al fronte laburista di Ed Miliban) sul Financial Times ha dato l’annuncio, confermato addirittura dalla Banca d’Inghilterra, la quale è pronta a stampare 400 miliardi di sterline per pagare (a se stessa) parte del debito pubblico. Leggere oggi i quotidiani economici britannici è davvero divertente: fa sembrare l’Italia un paesino piccolo piccolo nelle mani di ragionieri di secondo ordine, compresi gli economisti liberisti e le persone piccole piccole come Bersani che sostengono ancora la necessità di combattere contro il disavanzo.
Che cosa farà l’Europa?
Che cosa farà la BCE, la Merkel, Monti e tutti gli altri, quando si accorgeranno che non si tratta più di mettere in piedi dei giri di fattura e di qualche trucco da baraccone nei bilanci semplicemente per alimentare le banche private, garantendo all’oligarchia la loro reddita parassitaria?
Il 6 novembre, a urne ancora aperte, Mario Monti ha minacciato apertamente Obama dichiarando “chiunque vinca questa sera dovrà vedersela subito con il disavanzo pubblico”. Non appena rieletto, Obama ha dichiarato “il problema non è il disavanzo, bensì il lavoro e l’occupazione: questa è la priorità”.
Ma gli Usa non stanno cambiando perché Obama dice queste cose.
E’ il contrario netto: Obama è costretto a dire queste cose, perché nel frattempo l’America è cambiata.
L’economia è figlia della filosofia, ed è amante della sociologia.
Non esistono manovre economiche, tecniche o teorie che cambiano una società.
Esistono società che cambiano perché si aprono al nuovo, alla differenza, all’innovazione, e fanno appello alla propria cultura, e di conseguenza determinano nuovi riassetti economici perché l’economia si adegua.
Per il momento noi italiani non possiamo che stare a guardare. Abbiamo scelto di essere passivi, di essere colonia, di essere dipendenti. Pur di avere qualche briciola da spendere, fingendo con noi stessi che eravamo ricchi e indipendenti. Non lo siamo mai stati.  E’ ora che cominciamo a crescere andando a pescare nel nostro bacino più ricco e prestigioso, quello della Cultura e dell’Arte.
Soltanto da una nuova comportamentalità e da un radicale cambiamento della propria prospettiva esistenziale uscirà un nuovo modello sociale, all inclusive, come dice la pubblicità.
La discriminante sta tutta qui: abbasso i club esclusivi, qualunque sia il loro statuto.
Proprio perché esclusivi appartengono a un mondo fatiscente.
“Il nuovo che avanza” appartiene a tutti e non esclude nessuno, altrimenti non è nuovo. Se non fosse così non sarebbe un nuovo modello di energia, che prima di essere economico, è spirituale, psicologico, sessuale, morale, esistenziale. Non si cambia prospettiva di vita votando per un partito diverso. La si cambia ritrovando l’amore per la progettualità, accompagnato dalla passione civile, chiamandosi fuori dalla “offerta” dei soliti partiti che rappresentano una società che non esiste più, che non ha futuro e che in Italia, con la consueta spettacolarità che ci contraddistingue, si manifesta con i suoi coloriti aneddoti felliniani, dalle barche di lusso ai culetti della miss di turno, dai privilegi da basso impero alle clientele raffazzonate, che da sempre ci hanno abituato a pensarle come eternamente “ineludibili”. Non è vero. E’ roba da circo, è roba che si trova nei manifesti marketing delle agenzie di pubblicità.
E’ roba da medioevo. Tutto qui.
E io, in quanto innamorato dell’Italia, alla mia amante ci tengo e credo nel suo futuro.
Voglio che entri finalmente in quella modernità dalla quale si è sempre sottratta, per paura del nuovo, per viltà, per mancanza di curiosità, per mancanza di cultura. Questa è una società di vecchi oligarchi ammuffiti, e l’anagrafe non conta. O li si butta giù o ritorneremo a vivere come i nostri antenati nel 1712. Loro lo sanno benissimo.
Ciò che importa è che ce rendiamo conto tutti noi.
Basterebbe sottolineare il fatto che oggi in parlamento è stato bocciato il decreto sull’omofobia. Siamo davvero quarto mondo, non c’è che dire.

lunedì 5 novembre 2012

Due o tre cose su Antonio Di Pietro, su Barack Obama e sul vero fronte della guerra in corso.



di Sergio Di Cori Modigliani


Obama-Di Pietro. E soprattutto la libertà di stampa.

Queste sono le due notizie del giorno con le quali si apre la settimana.

Appartengono allo stesso fronte dello scenario geo-politico, nonostante tra questi due personaggi non vi sia nessun legame, tantomeno rispetto alle loro vicende locali. 

Eppure, un nesso c’è: riguarda i media, il loro controllo, la loro capacità di manipolazione, di permeazione, di falsificazione della realtà.

Veniamo alla questione Di Pietro perché ha a che vedere con noi italiani in maniera diretta.

Prima notazione: con perfetta sincronicità, l’attacco condotto da Banca d’Italia, quindi dalla BCE e quindi dall’EMS, ad Antonio Di Pietro, avviene lo stesso giorno in cui il dott. Antonio Ingroia, in quel di Palermo, stava impacchettando le sue ultime cose scegliendo quali indumenti personali portarsi appresso in Guatemala, località dove arriva oggi per restarci forse due anni. Il magistrato competente nella maxima quaestio attuale (la trattativa Stato-mafia) se n’è andato verso altri lidi anche perché è stato oggetto di una campagna di attacco personale. Come è noto, l’on. Antonio Di Pietro, insieme al pool di giornalisti de Il Fatto Quotidiano, è stato l’unico leader politico italiano in attività a schierarsi furiosamente in appoggio della procura di Palermo contro la scelta voluta dal presidente della Repubblica. Da notare, inoltre, che il presidente della Rai, signora Anna Maria Tarantola è una finanziera, nel senso di esperta (peraltro eccellente) nonché responsabile di tutto il sistema operativo dell’investimento finanziario speculativo del sistema bancario italiano nei meccanismi internazionali dei capitali derivati e garante –a nome dell’ufficio centrale di Banca d’Italia dove lavorava- del costante flusso di capitali tra governo e banche private. Negli anni decisivi della trattativa Stato-mafia, i funzionari di Banca d’Italia ebbero un ruolo decisivo e preponderante nella complessa rete di gestioni strategiche che dovevano disegnare il Nuovo Ordine Mondiale (di cui l’Italia era parte in quel momento decisiva) perché era finita la guerra fredda e bisognava investire almeno 10.000 miliardi di dollari per farsi carico dei paesi dell’Europa dell’est e la Germania da sola non era in grado di farlo. La trattativa Stati-mafie (il plurale, a mio avviso, è più corretto, più preciso, e spiega meglio l’entità così importante dello scontro) è stata la mamma dell’euro e del fiscal compact. E all’inizio, i grandi colossi finanziari dell’oligarchia planetaria hanno avuto, verosimilmente, bisogno di usufruire del braccio armato della mafia e del braccio finanziario della mafia per avviare quel processo di omologazione schiavistica dell’intero continente di cui, oggi, vent’anni dopo, con tragico e agghiacciante ritardo, gli europei cominciano a prendere atto, soltanto perché oggi stanno presentando il conto della spesa ai singoli popoli. L’attacco a Di Pietro, dunque, non mi sembra casuale. Così come non è casuale che sia stato lanciato dalla Rai. Così come non è casuale che sia avvenuto nel canale politicamente gestito dagli eredi dei comunisti italiani del ’92, protagonisti di quella complessa strategia di alleanze tra Reagan, Gorbacev, Andreotti, Craxi, Occhetto, Mitterrand, lo Ior e tutte le mafie appresso. Fondamentale, in questa fase, imporre la censura, non di Stato, bensì DEGLI STATI, su questo argomento. Approfondirlo, andare a scandagliarlo, smascherarlo, renderlo pubblico, pretendere che venga detta la verità ai popoli, può essere letale per la finanza globale e per la stessa tenuta dell’euro. Quindi Di Pietro andava zittito. All’italiana.

Seconda notazione: se fossimo stati in un altro momento storico o in un paese diverso dall’Italia, Di Pietro sarebbe stato eliminato in un altro modo, o a pistolettate, o per infarto, o per incidente. Gli italiani sono sofisticati, seguono altre strade ben collaudate nei decenni: promuovere gli imbecilli, i corrotti e i corruttibili e, per quanto riguarda gli  irriducibili e i combattenti per la libertà, vale sempre il principio base del KGB e del braccio politico della mafia: calunniare e diffamare, e quindi avviare la pratica costante di isolare l’individuo, gli individui. In un paese come l’Italia è fondamentale abbassare sempre il livello della produzione di pensiero elaborato e l’uso di argomentazioni razionali, al fine di privilegiare ondate di tifo e mode religiose, per avere un esercito inconsapevole di masse populiste pronte a essere usate come carne da macello quando la cupola mediatica ne ha bisogno, sia a destra che a sinistra. Non è certo un caso che il risultato ottenuto dalla trasmissione di Milena Gabanelli  abbia provocato una inedita e nuova visione del mondo e la nascita di nuovi club e pagine su facebook costruite sul delirio web, dove i nuovi nemici sono (messi tutti insieme) Di Pietro/Ingroia/Grillo con l’aggiunta (novità della domenica) di Travaglio, reo di aver scritto un articolo nel quale puntualizzava, in maniera razionale, le notizie riportate. La reazione di massa è stata quella voluta dalla Banca d’Italia e dai nemici della procura di Palermo. I tifosi della giornalista Gabanelli si sono bevuti tutto scatenando il proprio livore, contribuendo a mettere la parola fine a qualsivoglia argomentazione relativa alla trattativa Stati-mafie, da oggi ridotta al silenzio. Anche nel caso ci fossero cento rettifiche, non ha più importanza; i tifosi non sono razionali. Un caso mediatico interessante, perché Gabanelli è sempre stata identificata come una giornalista di denuncia, considerata dai politici “tradizionali” come “una che fa anti-politica”. Impeccabile.

Terza notazione: il trionfo del pensiero unico omologato comporta l’esercizio di una facoltà  molto attiva oggi, modaiola, emotiva, nient’affatto razionale, quella del tifo. La trasmissione “Report” dell’altra sera, appare (perché i contenuti sono stati contestati) come un esperimento mediatico decisivo per il sistema oligarchico della cupola mediatica e allo stesso tempo una minaccia pubblica nei confronti di chicchessia “osi” contrastare i diktat della BCE e dello Stato centrale, della serie “siamo in grado di distruggere chiunque sostenendo qualunque tipo di cifra, data, documentazione, anche clamorosamente falsa, perché ciò che conta non sono i fatti, tantomeno la verità, ciò che davvero conta non è la verità oggettiva bensì il suo mittente”. La gente ha abboccato. Silvio Berlusconi (padre e maestro di tale interpretazione marketing della comunicazione) nella sua indubitabile intelligenza pragmatica oggi ha preso atto che per lui la situazione è cambiata e si è adeguato. Dopo essere stato condannato in un regolare tribunale, è apparso in conferenza stampa sostenendo ipotesi irreali, pensando che ancora valesse per lui il principio che ciò che conta non sono i fatti, bensì “il mittente”. E lì ha avuto una sorpresa. Nessun consenso di massa. Non se l’è più bevuta nessuno. Tradotto, vuol dire: “signori, mi hanno tagliato i fili, il mittente è cambiato”. Da oggi lo rivedremo in formato umile e piagnucoloso pur di salvare le sue aziende.
Quarta notazione: ciò che si fa oggi è abbattere i contenuti, le competenze, le differenze e promuovere il concetto di “visibilità come norma”. Non conta più chi si è, che cosa si fa, come lo si fa, che cosa si scrive o ciò che si dice, conta soltanto (e soprattutto) appartenere in maniera visibile, anche se per pochi minuti, alla cornice dei privilegiati, per poter aspirare a godere di rispetto sociale. Il rispetto, infatti, lo si conquista non per gli atti che si compiono, le mansioni che si svolgono, o l’Essere che si è, bensì per il fatto che si possa essere riconosciuti pubblicamente come “un membro dell’elite superiore”. In tal modo passa il concetto che è inutile studiare, comprendere, capire, elaborare, migliorare se stessi, perché al mercato ci si arriva attraverso l’esibizione e l’apparenza: il Totem-Moloch che gli italiani adorano. Si batte la concorrenza non perché il proprio prodotto è migliore, bensì perché la confezione è più attraente. E’ la promozione dell’inefficienza eletta a sistema, che spiana la strada alla tecnocrazia.
Qui di seguito riporto per intero l’articolo del giornalista Marco Travaglio a proposito della questione Di Pietro. Ha collezionato un incredibile numero di invettive e insulti sulla rete, nonostante sia un articolo davvero molto pacato, sobrio, direi addirittura sotto le righe rispetto allo stile del giornalista. Spiega semplicemente, in maniera lineare e chiara, come sono andati i fatti e come stanno le cose. Se non altro, prima di esprimere idee a proposito, pensateci su, raccogliete dati reali.

MARCO TRAVAGLIO SUL MOMENTO "DIFFICILE" DI ANTONIO DI PIETRO.
"Nonostante Report, decine di sentenze, penali e civili, hanno accertato che non un euro di finanziamento pubblico è mai entrato nelle tasche di Di Pietro o della sua famiglia. E nemmeno nelle case".

"Per evitare altri Scilipoti o Maruccio, sui candidati si nomini un comitato di garanti con de Magistris, Li Gotti, Palomba, Pardi e altri esponenti dell’Idv o indipendenti al di sopra di ogni sospetto".

<<Come ciclicamente gli accade, da quando è un personaggio pubblico, cioè esattamente da vent’anni, Antonio Di Pietro viene dato per morto. Politicamente, s’intende. Gli capitò nel ’94, quando dovette dimettersi da pm per i ricatti della banda B. Poi nel ‘95, quando subì sei processi a Brescia per una trentina di capi d’imputazione (sempre prosciolto). Poi nel ‘96 quando si dimise da ministro per le calunnie sull’affaire Pacini Battaglia-D’Adamo. Poi nel 2001, quando la neonata Idv fu estromessa dal centrosinistra e per qualche decimale restò fuori dal Parlamento. Poi ancora quando il figlio Cristiano finì nei guai nell’inchiesta Romeo a Napoli; quando i suoi De Gregorio, Scilipoti e Razzi passarono a miglior partito; quando alcuni ex dipietristi rancorosi lo denunciarono per presunti abusi sui rimborsi elettorali e sull’acquisto di immobili; quando una campagna di stampa insinuò chissà quale retroscena su un invito a cena con alti ufficiali dell’Arma alla presenza di Contrada; quando le presunte rivelazioni dell’ex ambasciatore americano, ovviamente morto, misero in dubbio la correttezza di Mani Pulite. Ogni volta che finiva nella polvere, Di Pietro trovava il modo di rialzarsi.
Ora siamo all’ennesimo replay, con le indagini sui suoi uomini di punta nelle regioni Lazio, Emilia, Liguria, mentre il centrosinistra lo taglia fuori un’altra volta, Grillo fa man bassa nel suo elettorato più movimentista e Report ricicla le accuse degli “ex” sui rimborsi e sulle case. Si rimetterà in piedi anche stavolta, o il vento anti-partiti che soffia impetuoso nel Paese spazzerà via anche il suo?
Cominciamo da Report, programma benemerito da tutti apprezzato: domenica sera Di Pietro è apparso in difficoltà, davanti ai microfoni dell’inviata di Milena Gabanelli. Ma in difficoltà perché? Per scarsa abilità dialettica o perché avesse qualcosa da nascondere, magari di inedito e inconfessabile? A leggere (per noi, rileggere) le carte che l’altroieri ha messo a disposizione sul suo sito, si direbbe di no: decine di sentenze, penali e civili, hanno accertato che non un euro di finanziamento pubblico è mai entrato nelle tasche di Di Pietro o della sua famiglia. E nemmeno nelle case, che non sono le 56 che qualche testimone farlocco o vendicativo, già smentito dai giudici, ha voluto accreditare: oggi sono 7 o 8 fra la famiglia Di Pietro, la famiglia della moglie e i due figli. Quanto alla donazione Borletti, risale al 1995, quando Di Pietro era ancora magistrato in aspettativa e imputato a Brescia: fu un lascito personale a un personaggio che la nobildonna voleva sostenere nella speranza di un suo impegno in politica, non certo un finanziamento a un partito che ancora non esisteva (sarebbe nato tre anni dopo e si sarebbe presentato alle elezioni sei anni dopo, nel 2001, e l’ex pm lo registrò regolarmente alla Camera tra i suoi introiti).
Il resto è noto e arcinoto: all’inizio l’Italia dei Valori era un piccolo movimento “personale”, tutto incentrato sulla figura del suo leader, che lo gestiva con un’associazione omonima insieme a persone di sua strettissima fiducia. In un secondo momento cambiò lo statuto per dargli una gestione più collegiale. Decine di giudici hanno già accertato che fu tutto regolare, fatta salva qualche caduta di stile familistica e qualche commistione fra l’entourage del leader e il movimento. Di Pietro potrebbe anche fermarsi qui: se, in vent’anni di processi, spiate dei servizi segreti al soldo di chi sappiamo, campagne calunniose orchestrate da chi sappiamo che l’hanno vivisezionato e passato mille volte ai raggi X, riciccia fuori sempre la solita minestra, già giudicata infondata e diffamatoria da fior di sentenze, vuol dire che di errori ne ha commessi, ma tutti emendabili, perché il saldo finale rimane positivo.

Senza l’Idv non avremmo votato i referendum su nucleare e impunità; i girotondi e i movimenti di società civile non avrebbero avuto sponde nel Palazzo; in Parlamento sarebbe mancata qualunque opposizione all’indulto, agl’inciuci bicamerali e post-bicamerali, alle leggi vergogna di B. e anche a qualcuna di Monti; e certe Procure, come quella di Palermo impegnata nel processo sulla trattativa, sarebbero rimaste sole, o ancor più sole. Senza contare che Di Pietro non ha mai lottizzato la Rai e le Authority.

É vero, ha selezionato molto male una parte della sua classe dirigente (l’abbiamo sempre denunciato). Ma quando è finito sotto inchiesta si è sempre dimesso e, quando nei guai giudiziari è finito qualcuno dei suoi, l’ha cacciato. Ora la sorte dell’Idv, fra l’estinzione e il rilancio, è soltanto nelle sue mani. E non dipende dal numero di case di proprietà, ma da quel che farà di qui alle elezioni.
Siccome è ormai scontato che si voterà col Porcellum, dunque ancora una volta i segretari di partito nomineranno i propri parlamentari, apra subito i gazebo per le primarie non sulla leadership, ma sui candidati. E nomini un comitato di garanti con De Magistris, Li Gotti, Palomba, Pardi e altri esponenti dell’Idv o indipendenti al di sopra di ogni sospetto. Qualche errore sarà sempre possibile, ma almeno potrà dire di aver fatto tutto il possibile per sbarrare la strada a nuovi Scilipoti, Razzi e Maruccio.
Nel prossimo Parlamento, verosimilmente ingovernabile e dunque felicemente costretto all’inciucione sul Monti-bis, ci sarà un gran bisogno di oppositori seri, soprattutto sul tema della legalità. Se saranno soltanto i ragazzi di Grillo o anche gli uomini dell’Idv, dipende solo da lui>>.


di Marco Travaglio

Veniamo adesso a Obama.
Che cosa c’entra con Di Pietro?
C’entra.
Non perché vi sia un legame tra di loro, ma perché nella vicenda di entrambi è possibile (ed è questo che a noi interessa) notare l’attuale fase della comunicazione oggi in atto così come la cupola mediatica la intende: “produrre falsi sapendolo perfettamente perché ciò che conta non è più il dato oggettivo, bensì il risultato da ottenere, quindi si può dire qualunque cosa perché tutto si equivale ed è uniformato”. In tal modo non vince chi dice la verità, e neppure vince chi fornisce informazioni, bensì chi ha la massima diffusione. Se 100 link sostengono una qualunque notizia, quella notizia si afferma: ciò che conta è la quantità del consenso. E’ una trasposizione nel campo della logica e della razionalità di un elemento marketing pubblicitario. Tant’è vero che la stragrande maggioranza dei siti web, blog, pagine su facebook e quotidiani online, basano la propria attività nella bulimìa di contatti, per lo più a fini pubblicitari. La logica che si vuol far passare consiste nel fatto che “la notizia che ha più contatti vale di più”. La quantità sostituisce la qualità. Quindi vince la manipolazione. All’occorrenza si può far credere qualunque cosa a chiunque.

Domani si vota in Usa.

La maggior parte dei cosiddetti siti antagonisti italiani sostiene che Obama e Romney sono uguali, entrambi rappresentanti degli stessi interessi, che le loro politiche sono le stesse e che il mondo rimarrà uguale se vince l’uno o l’altro. Non è vero. Non è così. Negli ultimi sette giorni, i sostenitori di Romney hanno investito circa 400 milioni di dollari in una gigantesca campagna pubblicitaria televisiva fondata su falsi, addirittura clamorosi. Tre sono stati immediatamente scoperti e si sono rivelati un terribile boomerang. Il primo (1350 televisioni in tre stati centrali per complessivi 118.500 passaggi quotidiani in video a pagamento) nei quali i repubblicani sostenevano che la General Motors e la Chrysler avevano attuato un piano industriale che presupponeva il disinvestimento dagli Usa, il licenziamento di migliaia e migliaia di operai e la chiusura di diverse fabbriche appoggiati dai democratici. Obama ha chiamato subito Marchionne per chiedere ragguagli in merito e soprattutto ha chiamato il presidente della General Motors (la più grande industria automobilistica del mondo) per avere notizie. Loro hanno negato, e sono stati obbligati dal presidente Usa a diffondere immediatamente dei video di contro-denuncia (a loro spese) denunciando il falso. La Casa Bianca ha dato a entrambe le aziende l’opportunità della scelta: “o denunciate subito il comitato Romney per falso e chiedete miliardi di dollari per danni ma se per caso vince Romney e poi patteggiate siamo noi che denunciamo voi e vi facciamo chiudere le aziende, oppure a vostre spese diffondete immediatamente un video dichiarando come stanno le cose”. E così è avvenuto. Da notare che il presidente della GM aveva deciso di tenersi alla larga (finanziando entrambi con la stessa cifra) e non dire nulla. E invece è sceso in campo e si è ufficialmente schierato dalla parte di Obama. Il secondo punto è stato un altro video più dodici instant books nel quale si spiega come, non appena eletto Obama, l’inflazione aumenterà del 12%, l’economia calerà a picco, e verranno licenziate milioni di persone. Anche in questo caso c’è stata una gigantesca levata di scudi pubblica. Immediata ed esecutiva la denuncia alle case editrici: tutte e dodici hanno preferito ritirare il libro dal mercato e dichiarare bancarotta per non dover pagare i danni. Terzo: se Obama vince, milioni di ragazze minorenni saranno obbligate per Legge ad abortire, incitando la parte più violenta della popolazione ad andare a uccidere i ginecologi. Qui sono insorte tutte le associazioni femminili statunitensi, comprese quelle cattoliche di lingua ispanica (ma non quelle di lingua inglese fortemente presenti nella potente comunità irlandese) e il dibattito è diventato violentissimo e si è spostato tutto, negli ultimi giorni, sulla cupola mediatica. Quarto: il teatro più violento. Con un investimento di 80 milioni di dollari del suo patrimonio personale, Robert Murray, presidente dalla più importante miniera di carbone degli Usa, è intervenuto presentando scenari apocalittici di miseria con dati falsi, completamente inventati. E qui è intervenuta occupy wall street (fino a ieri aveva una posizione defilata e non appoggiava Obama affatto) e il presidente si è guadagnato negli ultimi dieci giorni l’insperato appoggio del più famoso intellettuale americano d’opposizione, il prof. Noam Chomsky che da sempre è stato un suo forte critico. Questa volta, invece, si è schierato. Ha spiegato che la vera battaglia in corso in queste elezioni è tutta incentrata sul “controllo delle fonti energetiche e sull’applicazione di leggi e risorse economiche, sia in Usa che in Europa, al fine di lanciare una nuova politica occidentale ecologica e sostenibile oppure dare il via 1350 nuove perforazioni petrolifere, decuplicando la produzione di carbone”. Inoltre, il Prof. Chomsky ci ha fatto sapere che anche l’Europa sta per attuare scelte decisive su questo e che nel 2002 l’apposito ufficio dell’Onu aveva presentato uno studio ecologico sulla condizione della biosfera nel pianeta sulla base del quale si prevedeva che l’intera massa dei ghiacciai nel Mar Glaciale Artico si sarebbe sciolta entro il  2050 ma l’ultimo studio relativo a un anno fa ha corretto quella previsione: si verificherà nel 2020. E, se vincerà Romney, sulla base della nuova politica energetica da lui voluta, potrebbe addirittura cominciare a manifestarsi intorno al 2015, praticamente domani mattina. Obama, invece, vuole chiudere con petrolio e carbone e dare via a un gigantesco piano new deal di investimento in infrastrutture nell’ordine di 800 miliardi di dollari per la riconversione all’eolico e al fotovoltaico andando all’attacco delle società petrolifere texane alle quali verrà aumentata la tassazione e verranno date immediate scadenze per iniziare la riconversione.
Mi sembra quindi che le posizioni siano molto ma molto diverse.
Gli ultimi sondaggi li danno alla pari.
La maggior parte degli americani andranno a votare senza sapere che si sono bevuti dei falsi. Non è detto che tutti abbiano visto e letto le rettifiche.
Qui di seguito, pubblico un ampio stralcio della splendida conferenza tenuta dal Prof. Noam Chomsky in data 27 settembre 2012, presso l’università di Amherst, nello stato del Massachussets, e poi replicata in data 28 ottobre all’università di Harvard, sono state trasmesse da ben 45.000 diversi canali televisivi. Penso possa interessarvi. Non riguarda soltanto gli americani. Riguarda tutti noi.

Ormai, l’oligarchia finanziaria si è lanciata nella produzione sistematica di FALSI.
Questa è la nuova fase.

E’ un impegno di chiunque abbia a cuore il nostro presente e il nostro futuro, smascherare i falsi. Per ritornare a riappropriarci del Senso, ovverossia “il primato dell’oggettività dei dati sulla cinica interpretazione personale a fini di controllo politico”.

Ecco perchè Obama c’entra con Di Pietro.

Ed ecco perché la vicenda di Di Pietro riguarda tutti noi.
Nessuno escluso.
Prima di tirare la leva della sedia elettrica, bruciando per sempre un leader politico che, nonostante scelte politiche e toni che in passato non sempre ho condiviso,  negli ultimi tempi ha attaccato frontalmente la BCE, la Banca d’Italia e il consociativismo occulto di chi non vuole che il paese sappia quando come e perché i potenti oligarchi, venti anni fa, hanno gestito la trattativa Stato-mafie, ebbene, prima di farlo, rinunciate a un mi piace su facebook tenendo a freno il vostro livore, riflettete, e andate a controllare la documentazione notarile oggettiva.

L’articolo del prof.Chomsky è apparso per intero sul web  e per chi legge l’inglese la fonte è: http://www.zcommunications.org/who-owns-the-world-by-noam-chomsky

In Italia è stata diffusa sul web dal sito: http://www.znetitaly.org
Proviene come fonte dall’organizzazione politica “Democracy Now”,
La traduzione è stata realizzata da Maria Chiara Starace.

Il testo è soltanto una parte dell’ampia prolusione. Questa versione è quella del 28 ottobre 2012, la più recente.

“Chi possiede il mondo?
di Noam Chomsky

Quando pensavo a queste osservazioni, avevo in mente due argomenti, non riuscivo a decidere quale dei due scegliere, in effetti molto ovvii. Uno è: quali sono i problemi più importanti che dobbiamo affrontare? Il secondo è: quali problemi non si stanno trattando seriamente – o per nulla – in questa follia quadriennale in corso che si chiama elezione? Mi sono però reso conto che non c’è un problema; non è una scelta difficile: sono lo stesso argomento. E ci sono delle ragioni che sono di per se stesse molto significative. Mi piacerebbe tornare su questo punto fra un momento. Prima dirò alcune parole sul contesto, iniziando dal titolo che è stato annunciato: “Chi possiede il mondo?”

In realtà, una bella risposta a questa domanda è stata data tanti anni fa da Adam Smith, una persona che ci si aspetta che adoriamo, ma che non leggiamo. Era un po’ sovversivo quando lo si legge. Si riferiva alla nazione che era la più potente del mondo ai suoi tempi, e, naturalmente, era la nazione che lo interessava, cioè l’Inghilterra. E ha fatto notare che in Inghilterra gli architetti della politica sono coloro che possiedono la nazione: e che ai suoi tempi erano i mercanti e i  produttori di merci. E ha detto che essi si assicurano di disegnare le linee politiche, in modo che i loro interessi vengano seguiti in modo particolare. La politica è al servizio dei loro interessi, per quanto sia doloroso l’impatto sugli altri, compreso il popolo inglese.

Smith era, però un conservatore vecchia maniera con principi morali, quindi ha aggiunto le vittime dell’Inghilterra, le vittime di quella che chiamava “l’ingiustizia selvaggia degli Europei”, dimostrata specialmente in India. Ebbene, non aveva illusioni su chi fossero i proprietari, quindi, per citarlo di nuovo, “Tutto per noi stessi e nulla per le altre persone, sembra, in ogni età del mondo, essere stata la ignobile  massima dei padroni del genere umano.” Era vero allora; è vero adesso.

La Gran Bretagna ha mantenuto la sua posizione come potenza mondiale dominante quando il ventesimo secolo era già cominciato da un pezzo, malgrado il  suo declino progressivo. Alla fine della seconda guerra mondiale, il dominio si era spostato rapidamente nelle mani dell’ultimo arrivato  al di là del mare, gli Stati Uniti, di gran lunga la società più potente e ricca nella storia del mondo. La Gran Bretagna poteva aspirare soltanto ad essere il suo socio meno anziano,  come aveva mestamente riconosciuto il Foreign Office britannico (il mistero degli esteri). In quel momento, il 1945, gli Stati Uniti possedevano letteralmente la metà della ricchezza mondiale, incredibile sicurezza, controllavano l’intero emisfero occidentale, entrambi gli oceani, le sponde opposte di entrambi gli oceani. Non c’è nulla, non c’è mai stato nulla del genere nella storia.

E i pianificatori lo hanno capito. I pianificatori di Roosvelt si incontravano  durante la Seconda  guerra mondiale per disegnare il mondo del dopo guerra. Erano molto sofisticati al riguardo, e  i loro piani sono stati abbastanza messi in pratica. Volevano assicurarsi che gli Stati Uniti avrebbero controllato quella che  chiamavano una “grande area” che avrebbe incluso, sistematicamente l’intero emisfero occidentale, tutto l’Estremo Oriente, l’ex Impero britannico, di cui gli Stati Uniti avrebbero preso il controllo, e il più possibile dell’Eurasia – cosa di importanza cruciale – i suoi centri di commercio e di industria in Europa occidentale. E nell’ambito di questa area, dicevano, gli Stati Uniti avrebbero mantenuto un potere indiscutibile con una supremazia militare ed economica, assicurando nello stesso tempo la limitazione di qualunque esercizio di sovranità da parte di stati che potessero interferire con questi disegni globali.

Quelli erano piani piuttosto realistici a quell’epoca, data l’enorme disparità di potere. Gli Stati Uniti erano stati di gran lunga il più ricco paese del mondo perfino prima della Seconda Guerra mondiale, sebbene non ne fossero ancora i principali protagonisti mondiali. Durante la Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti avevano guadagnato moltissimo. La produzione industriale era quasi quadruplicata, e ci aveva fatto uscire dalla depressione economica. I rivali nell’industria sono stati rovinati o seriamente indeboliti. Era dunque  un sistema di potere incredibile.

In effetti, le politiche che erano state  delineate sono ancora valide. Si possono leggere nelle dichiarazioni del governo. È diminuita, però, in modo significativo la capacità di attuarle. In realtà c’è un tema importante nelle discussioni di politica estera, nel giornalismo e così via. Il tema si chiama “declino americano.” Quindi, per esempio, sul più prestigioso giornale di relazioni internazionali dell’establishment, il Foreign Affairs, (Affari esteri), un paio di mesi fa,  c’era un argomento che aveva sulla prima pagina in grandi lettere in neretto la domanda: “L’America è finita?” Questo annunciava il tema della questione. E c’è un corollario standard a riguardo: il potere si sta spostando verso occidente, verso la Cina e l’India, che sono le due potenze in ascesa e che saranno gli stati egemonici del futuro.

In effetti penso che il declino sia piuttosto reale, ma si richiedono  alcuni seri requisiti. Prima di tutto, il corollario è altamente improbabile, almeno nell’immediato futuro. La Cina e l’India sono paesi molto poveri. Date soltanto un’occhiata, per esempio, all’Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite: quei due paesi sono molto in basso. La Cina è circa novantesima. Penso che l’India sia  intorno al centoventesimo posto, l’ultima volta che ho guardato l’indice. E hanno anche terribili problemi interni: problemi demografici, povertà estrema, disuguaglianza terribile, problemi ecologici. La Cina è un grande centro manifatturiero, ma in realtà è soprattutto un impianto di assemblaggio. Assembla quindi parti e componenti,  frutto di un’alta tecnologia che arriva dai suoi centri industriali più avanzati: il Giappone, Taiwan, la Corea del sud, Singapore, gli Stati Uniti, l’Europa – e fondamentalmente si limita a un lavoro di assemblaggio. E così comprate una di queste cose che iniziano con la  -i,  un ipod  della Cina – si chiama prodotto di esportazione cinese, ma le parti, i componenti, e la tecnologia vengono da fuori. E il valore aggiunto in Cina è pochissimo: è stato calcolato. Saliranno nella scala della tecnologia, ma sarà una salita difficile, per l’India ancora di più. Si dovrebbe quindi essere scettici riguardo al corollario.

C’è però un altro requisito che è più serio. Il declino è reale, ma non è un fatto nuovo. Va avanti dal 1945, ed è avvenuto molto rapidamente. Alla fine degli anni 40, c’è un avvenimento che è noto qui come “la perdita della Cina”. La Cina  diventava indipendente. Era la perdita di un enorme pezzo della vasta area asiatica, ed è diventata un problema fondamentale nella politica interna americana. Chi è responsabile della perdita della Cina? Ci sono state un sacco di recriminazioni, ecc. In effetti l’espressione è piuttosto interessante. Per esempio, io non posso perdere il tuo computer, giusto? perché non lo possiedo. Posso perdere il mio computer. Ebbene, la locuzione “perdita della Cina” presuppone in un certo quale modo un principio profondamente rispettato del tipo di consapevolezza dell’elite americana: noi possediamo il mondo e se qualche suo pezzo diventa indipendente, lo abbiamo perduto. E quella è una perdita terribile; dobbiamo fare qualche cosa al riguardo. Non si mette mai in dubbio, e questo è di per sé interessante.

Ebbene, circa nello stesso periodo, intorno al 1950, cominciarono a sorgere preoccupazioni sulla perdita del Sud est asiatico. Questo ha portato gli Stati Uniti alle guerre in Indocina, alle peggiori atrocità del dopo guerra – in parte vinte in parte no. Un avvenimento molto significativo nella storia moderna è avvenuto nel 1965, quando in Indonesia, che era il punto di maggiore preoccupazione – infatti essa è la nazione del Sud est asiatico con la maggior parte della ricchezza e delle risorse – c’è stato un colpo di stato militare, quello di Suharto. Ha portato a un incredibile massacro, che il  New York Times ha chiamato una “sconvolgente strage di massa,” che ha ucciso centinaia di migliaia di persone, per lo più contadini senza terra; ha distrutto l’unico partito politico di massa; ha aperto il paese allo sfruttamento dell’Occidente. L’euforia in occidente era così enorme, che non si poteva contenere. E così sul New York Times , quando ha descritto la “sconvolgente strage di massa”, la ha chiamata “un barlume di luce in Asia.” Quell’articolo è stato scritto da James Reston, il principale intellettuale liberale del Times. E lo stesso è accaduto altrove -in Europa, in Australia. E’ stato considerato un avvenimento fantastico.

Anni dopo, McGeorge Bundy, che era il consigliere per la sicurezza nazionale di Kennedy e Johnson, a posteriori  ha fatto notare che sarebbe stata una buona idea porre fine alla guerra del Vietnam, a quel punto, e ritirarsi. Contrariamente a tante illusioni, la Guerra del Vietnam è stata combattuta principalmente per assicurarsi che un Vietnam indipendente non si sarebbe evoluto con successo e non sarebbe diventato un modello per altre nazioni di quella area. Per prendere a prestito la terminologia di Henry Kissinger usata per il Cile, dobbiamo impedire che quello che chiamava il “virus” dello sviluppo indipendente diffondesse il contagio altrove. Questa è una parte critica della politica estera americana fin dalla Seconda guerra mondiale: la Gran Bretagna, la Francia e altri paesi in grado minore. E nel 1965, era  finito. Il Vietnam del sud era praticamente distrutto. Si sparse la voce rivolta al resto dell’Indocina che esso non doveva essere il modello per nessuno e il contagio è stato contenuto. Il regime di Suharto si era assicurato di non venire contagiato.  E abbastanza presto gli Stati Uniti hanno avuto dittature in ogni nazione di quella zona: Marcos nelle Filippine, una dittatura in Tailandia, Park Chun  nella Corea meridionale. Non c’erano problemi per l’infezione. Pensava che sarebbe quindi stato un buon periodo per mettere fine alla Guerra del Vietnam.  Ebbene questo è il Sudest asiatico.

Il declino però continua. Negli ultimi 10 anni, c’è stato un avvenimento molto importante: la perdita del Sud America. Per la prima volta in 500 anni, dall’epoca dei conquistatori spagnoli, i paesi sudamericani hanno cominciato a muoversi verso l’indipendenza e verso un certo grado di integrazione. La struttura tipica di uno dei paesi Sudamericani era costituita da una piccola elite ricca, occidentalizzata, spesso bianca o per lo più bianca, e da una massa enorme di poveri; paesi separati tra l’uno dall’altro, ciascuno orientato verso l’Europa o, più di recente, verso gli Stati Uniti. Negli ultimi 10 anni, questo aspetto è stato superato in maniera significativa, c’è stato un inizio importante di integrazione, cioè il presupposto dell’indipendenza, e i paesi hanno cominciato ad affrontare alcuni dei loro spaventosi problemi interni. Questa è la perdita del Sud America. Un segno è che  gli Stati Uniti sono stati cacciati via da ogni singola base militare del Sud America. stiamo cercando di ripristinarne alcune, ma proprio adesso non ce ne è nessuna.

AMY GOODMAN : il Professore Noam Chomsky del MIT, discute del riscaldamento globale, della guerra nucleare e della Primavera Araba.

NOAM CHOMSKY: Passando a parlare  dell’anno scorso, la Primavera Araba è proprio una di queste minacce. Minaccia di eliminare quella grande regione dalla grande zona più grande E’ molto più importante del Sudest asiatico e del Sud America. Torniamo agli anni ’40, quando il dipartimento di stato aveva riconosciuto che le risorse energetiche del Medio Oriente sono ciò che chiamavano “uno dei maggiori tesori materiali nella storia del mondo,” una fonte spettacolare di potere strategico; se possiamo controllare l’energia del Medio Oriente, possiamo controllare il mondo. E questo è un tema che pervade tutte le decisioni politiche. Non se ne discute molto, ma è molto importante avere il controllo, proprio come i consulenti del Dipartimento di stato hanno fatto notare negli anni ’40. Se si controlla il petrolio, si controlla la maggior parte del mondo. E va ancora avanti così.

Finora, la minaccia della Primavera Araba è stata abbastanza ben contenuta. Nelle dittature del petrolio, che sono le più importanti per l’Occidente, ogni tentativo di unirsi alla Primavera Araba, è stato stroncato con la forza.  L’Arabia Saudita è stata così eccessiva, che quando c’erano tentativi di scendere in piazza, la presenza della sicurezza era così enorme, che la gente aveva perfino paura di uscire. C’è poco da discutere di quello che succede in Bahrein, dove la rivolta è stata soffocata,  ma l’Arabia Saudita orientale ha fatto di molto peggio. Gli Emirati hanno il controllo totale e quindi tutto va bene. Siamo riusciti ad assicurare che la minaccia di democrazia venisse schiacciata nei luoghi più importanti.

L’Egitto è un caso interessante. E’ un paese importante, è soltanto un piccolo produttore di petrolio. In Egitto gli Stati Uniti hanno però seguito una procedura operativa standard. Se qualcuno di voi entrerà in diplomazia, dovreste comunque impararla. C’è una  procedura standard quando uno dei vostri dittatori preferiti si mette nei guai. Prima lo si appoggia il più a lungo possibile, ma se diventa davvero impossibile, diciamo che l’esercito si rivolti contro di lui, per esempio, allora gli si dà il ben servito e si fa  in modo che la classe degli intellettuali  rilasci  risonanti  dichiarazioni sul proprio amore per la democrazia, e poi si cerca di restaurare il vecchio sistema il più possibile.  Ci sono una serie di casi di questa strategia: Somoza in Nicaragua, Duvalier ad Haiti, Marcos nelle Filippine, Chun nella Corea del sud, Mobutu in Congo. Ci vuole del genio per non accorgersi di tutto ciò. Ed è esattamente ciò che si è fatto in Egitto, e ciò che ha cercato di fare la Francia in Tunisia non proprio con lo stesso  successo.

Ebbene, il futuro è incerto, ma la minaccia della democrazia fin ora è stato contenuta. E’ una minaccia seria. Tornerò sull’argomento in seguito. E’ anche importante riconoscere che il declino negli ultimi 50 anni ce lo siamo inflitto da soli in misura significativa, specialmente a partire dagli anni ’70. Tornerò anche su questo argomento. Prima però fatemi dire un paio di cose sui problemi più importanti oggi e che vengono ignorati oppure non trattati seriamente – intendo dire trattati seriamente nelle campagne elettorali, per buone ragioni. Fatemi cominciare con gli argomenti più importanti.  Ce ne sono due tra questi: Sono di importanza assoluta, perché da questi dipende il destino della nostra specie. Uno è il disastro ambientale, e l’altro è la guerra nucleare.

Non dedicherò molto tempo a esaminare le minacce del disastro ambientale. In realtà, sono in prima pagina tutti i giorni.  Per esempio, la settimana scorsa il New York Times aveva una notizia in prima pagina intitolata: “Alla fine dello scioglimento estivo, il ghiaccio del Mare Artico stabilisce un nuovo record negativo che provoca allarme.” Lo scioglimento questa estate è stato molto più rapido di quanto era stato predetto dai sofisticati modelli informatici e dal più recente rapporto delle Nazioni Unite. Si prevede ora che forse il ghiaccio scomparirà entro il 2020. Secondo la precedente previsione la data doveva essere il 2050. Hanno citato scienziati che hanno detto che questo è “un primo esempio del conservatorismo intrinseco  delle [nostre] previsioni metereologiche. Per quanto terribili [siano le previsioni] sulle conseguenze a lungo termine delle emissioni  che intrappolano il calore….molti [di noi] temono che forse si stanno sottostimando la velocità e la gravità dei cambiamenti impellenti.” In realtà, c’è un programma di studio sui cambiamenti del clima al MIT (Massachusetts Institute of Technology) dove lavoro. Hanno avvertito di questo fenomeno da anni e ripetutamente si è dimostrato che avevano ragione. Il servizio del Times discute brevemente il grave attacco, il grave impatto di tutto questo sul clima del mondo, e aggiunge: “I governi non hanno però replicato al cambiamento con nessuna maggiore urgenza per limitare le emissioni di gas serra. Al contrario, la loro  principale replica è stata quella di programmare lo sfruttamento di minerali di recente accessibili nell’Artico, e le trivellazioni per cercare altro petrolio.” Questo vuol dire accelerare la catastrofe. È molto interessante. Dimostra una straordinaria volontà di sacrificare la vita dei nostri figli e nipoti a favore di guadagni a breve termine, o forse una volontà ugualmente notevole di chiudere gli occhi in modo da non vedere il pericolo incombente – queste cose talvolta si notano nei bambini piccoli; una cosa sembra pericolosa, alloara chiudo gli occhi e non voglio guardarla.

C’è un’altra possibilità, intendo dire che forse glie esseri umani stano in qualche modo cercando di far avverare alla previsione di un grande biologo americano scomparso di recente, Ernst Mayr. Sosteneva, anni fa, che l’intelligenza pare che sia una mutazione letale, e ne aveva delle buone prove. C’è una nozione di successo biologico, che vuol dire che ci sono tantissimi esseri umani sulla terra. Questo è il successo biologico. E ha fatto notare che se si guarda alle diecine di miliardi di specie nella storia del mondo, quelle che sono riuscite bene  sono quelle che mutano molto rapidamente, come i batteri, o quelle che hanno una nicchia ecologia fissa, come gli scarafaggi. Sembra che se la cavino bene. Se però ci si sposta in alto sulla scala di quella che chiamiamo intelligenza, il successo diminuisce nettamente.  Quando si arriva ai mammiferi, è molto bassa. Ne esistono pochi. Cioè, ci sono un sacco di mucche, soltanto perché le addomestichiamo. Quando parliamo degli umani, è la stessa cosa. Fino a tempi recenti,  troppo recenti  per comparire in qualsiasi  spiegazione di tipo evoluzionistico, gli esseri umani erano molto sparsi. C’erano tantissimi altri ominidi che però sono scomparsi, probabilmente perché gli umani li hanno sterminati, ma nessuno lo sa di sicuro. Comunque forse stiamo cercando di dimostrare che gli esseri umani  si inseriscono bene  in un modello generale. Possiamo anche sterminare noi stessi e anche il resto del mondo insieme a noi, e noi siamo fortemente determinati a farlo  proprio adesso.

Bene, passiamo alle elezioni. Entrambi i partiti politici ci chiedono di peggiorate questo problema. Nel 2008 entrambe le piattaforme dedicavano un certo spazio ai modi in cui il governo avrebbe dovuto occuparsi dei cambiamenti climatici. Attualmente, nella piattaforma repubblicana, l’argomento è essenzialmente  scomparso. La piattaforma, domanda, però, che  il Congresso agisca rapidamente per impedire che l’Agenzia di protezione dell’ambiente regoli i gas serra. Assicuriamoci, quindi, di peggiorare la situazione. E chiede anche di aprire la zona dove  dell’Arctic Refuge alle trivellazioni – per trarre (adesso riporto le parole) “vantaggio da tutte le risorse americane che Dio ci ha concesso.”

Dopo tutto, non si può disobbedire a Dio. Riguardo alla politica ambientale il programma dice: “Dobbiamo ripristinare l’integrità scientifica nelle istituzioni pubbliche per la ricerca e eliminare gli incentivi politici dalla ricerca finanziata con il denaro pubblico.” Tutto questo è una parola in codice rivolta al mondo della scienza climatica che significa:smettetela di finanziare le ricerche scientifiche sul clima. Lo stesso Romney dice che non c’è consenso tra gli scienziati, e quindi si dovrebbero sostenere altri dibattiti e ricerche all’interno della comunità scientifica, ma nessuna azione, tranne quella destinata a peggiorare il problema.

Ebbene, e i Democratici? Ammettono che ci sia un problema e sostengono che dovremmo operare per arrivare a un’intesa  che stabilisca i limiti delle emissioni [di gas serra], di comune accordo con altre potenze emergenti. Ma non è così. Nessuna azione. E infatti, come ha sottolineato Obama, dobbiamo lavorare duramente per guadagnare quello che chiama cento anni di indipendenza energetica ottenuta sfruttando le risorse nazionali o quelle canadesi per mezzo della fratturazione o di altre tecnologie elaborate. Non si chiede come cosa sarà il mondo fra cento anni. Ci sono, quindi delle differenze che riguardano  il livello di entusiasmo con cui i pecoroni dovranno marciare verso il precipizio. E’ bene saperlo.



venerdì 2 novembre 2012

La videocrazia oligarchica all'attacco di Beppe Grillo.



di Sergio Di Cori Modigliani



La Politica e l’Anti-politica. Il Vero e il Falso. E le “Regole di Beppe Grillo”.

L’immaginario collettivo della nazione, teledipendente e acritico, si muove a ondate modaiole da sempre, gettandosi a capofitto, come di consueto, in quell' italianissimo guazzabuglio di pensiero unico omologato che è sempre stato il confronto/scontro tra guelfi e ghibellini.
Uscire da questo binario forzato per topi da laboratorio, rimane il primo punto fondamentale di una auspicata rivoluzione culturale che rimane tappa fondamentale per riuscire a poter cominciare a crescere come collettività di cittadini liberi.
L’intero sistema mediatico è strutturato, in Italia, in modo tale da spingere l’utente a partecipare sempre e soltanto a condizione di porsi come tifoso partigiano, per consentire dei meccanismi di identificazione facili da strutturare (e quindi manipolabili) e garantirsi così il consenso nel nome di principii astratti, teorie, bandiere, divise da indossare, che ruotano intorno alla costruzione immediata di un ghetto culturale, miope e ottuso, che esclude –in quanto ghetto- chiunque tenti, cerchi o provi una qualsivoglia forma di elaborazione, argomentazione, magari una contestazione di merito, che possano contribuire ad avviare delle riflessioni ad uso della collettività. Se oggi, novembre 2012, ci troviamo in una esasperante condizione di totale sbandamento della nazione, è dovuto in grandissima parte al trionfo di questo principio basico dell’immaginario collettivo, vero e proprio trionfo delle oligarchie che gestiscono il potere nel nostro paese; basterebbe un semplice ed elementare esempio: non c’è stata nessuna forza politica, nessun soggetto politico, nessun intellettuale, nessun economista, nessun gruppo organizzato, movimento, partito o associazione che, negli anni’90, abbia lanciato e avviato con forza, nel paese, una discussione generale con un tema facile facile da porre, come necessaria e unica domanda: “A noi italiani, e all’Italia come nazione, conviene entrare a far parte dell’euro?” Gli italiani hanno aderito all’euro e la domanda è stata posta soltanto nel giugno del 2011, con 15 anni di ritardo. Il dibattito è diventato ben presto avvilente, come sarebbe avvilente e tragicamente ridicolo se oggi gli aquilani si riunissero per discutere se è il caso o meno di attuare un piano di ristrutturazione edile e di prevenzione per evitare che venga danneggiato il centro storico, scomparso tra le macerie nel 2009.  
La nuova moda è’ finita nel solito calderone guelfi/ghibellini creando due fronti “religiosi”; da una parte “morire pur di salvare l’euro”, dall’altra “moriamo se non usciamo dall’euro”. Due posizioni estreme e irrazionali, entrambe stupide e prive di significato, perché portate avanti, fondamentalmente, su basi irrazionali emotive, logiche settarie pilotate e gestite da demagoghi, furbi, furbetti e furboni di varia natura, età, genere, censo e professione, che hanno trovato il cavallo giusto da cavalcare per tirare la volata al proprio specifico padrone, partito, associazione e, strada facendo, dilettarsi nello sport in cui siamo campioni olimpionici: ottenere un vantaggio personale, anche solo per soddisfare il proprio narcisismo, sull’onda del tifo. Scoperto il nuovo sport italiota guelfo/ghibellino, poiché si tratta di una materia che implica la conoscenza tecnica di alcuni meccanismi e dispositivi economici, sono tutti diventati economisti, tutti esperti addirittura in quei complicati micro aspetti di una materia di cui a nessuno è mai importato nulla finora. Va da sé, neppure a dirlo, ciascuno con la propria teoria unica e santa, con il talk show giusto al quale partecipare, con le proprie pagine specifiche su facebook, dove non esiste confronto, se non la pura e semplice auto-referenzialità esaltata, utile a confermare la propria aderenza fideistica a quel vessillo.
E così gli italiani hanno scoperto, con qualche centinaio di anni di ritardo, che esistono le banche potenti e impietose; hanno scoperto con circa quaranta anni di ritardo che la propria classe politica è immonda; hanno scoperto con ottocento anni di ritardo che esistono le dinastie dei signori aristocratici regionali che usano il territorio, il danaro, le risorse umane, come loro esclusiva proprietà e dominio e non intendono in alcun modo che i loro patrimoni e ricchezze vengano intaccati neppure di un grammo; scoprono all’improvviso dopo sessant’anni, che la Fiat è una struttura finanziaria immorale, anti-italiana, del tutto indifferente al destino della nazione, che ha alimentato, inventato e collettivizzato l’idea base della corruzione facendone la propria bandiera, infettando l’intero sistema politico-industriale del paese; infine, cominciano poco a poco a scoprire adesso, con cinquanta anni di ritardo, (novità post-mediatica) che i guru televisivi e i colonnelli della cupola mediatica asservita, sono dei semplici funzionari e impiegati di quella classe politica immonda e di quelle banche impietose, e così via dicendo. Gli italiani vengono a scoprire adesso, nell’autunno del 2012, che il 25 aprile del 1945 è finita una guerra che l’Italia, distrutta e devastata e messa in ginocchio da vent’anni di fascismo, aveva perso; ragion per cui è stata obbligata a pagare durissime sanzioni, danni di guerra, micidiali interessi, mascherati in parte sotto “il piano Marshall” che agli italiani è stato fatto credere fosse stato un regalo degli anglo-americani per ringraziarli del fatto che l’Italia aveva dichiarato loro guerra, aveva ucciso i loro soldati e voleva impossessarsi delle loro ricchezze. E invece ce l’hanno fatta pagare, presentando il conto, genialità mediatica della classe politica italiana, mascherato da qualcosa di diverso. Gli Italiani scoprono oggi che la nazione non è sovrana, che il Vaticano non ha mai pagato né pagherà mai alcuna tassazione sui suoi beni e che sono sempre stati ingannati dai propri rappresentanti politici perché non vi è mai stata alcuna elaborazione sui fatti storici avvenuti in termini di realtà oggettiva.
Oggi, gli italiani, sembrano accorgersi di tutto ciò.
Eppure, nonostante questi vagiti di consapevolezza collettiva, gli italiani insistono e persistono nel seguitare a partecipare volontariamente allo stesso identico gioco di sempre.
Sull’onda delle nuove recenti mode, vengono usati termini come Politica e Anti-politica, ormai diventati francobolli mediatici buoni da appiccicare –in un senso o nell’altro- agli avversari membri del club, loggia, setta, associazione o movimento, diverso e/o opposto al proprio, perpetrando un gioco delle parti che serve soltanto ai rappresentanti delle oligarchie dominanti.
Politica è una parola semplice ed elementare: “scienza o arte o attività che definisce l’esercizio del bene comune nel perseguire le esigenze della collettività”. Il ”Politico” è colui/colei che “riceve dai cittadini una delega formale e legale per rappresentare le istanze, esigenze, bisogni e desideri di una intera comunità”. Fine della definizione.
Tutto ciò che esula “dall’interesse collettivo e dall’esercizio di una azione personale che va identificata come proiezione e sintesi della volontà collettiva” viene situata all’infuori della politica. E’ per l’appunto “Anti-politica”.
La confusione che oggi regna è tale per cui viene chiamata “anti-politica” una idea, una teoria, un atteggiamento, un humus. Mentre “anti-politica” ha un suo Senso Oggettivo. Lo ripeto: “tutto ciò che non riguarda la collettività bensì è riferito a singolo o singoli”.
Quindi, coloro che non si occupano della cittadinanza perché perseguono un fine soggettivo (sia individuale o gruppale) non si stanno occupando di politica, bensì di qualcosa d’altro.
Il tornaconto personale è la “non-politica”. Non si tratta né di morale né di etica. Si tratta di etimologia, di logica del Senso.
Bisogna ritornare a definire le cose con il loro nome, per ciò che esse sono.
Il solo fatto di far credere ai lettori che un quotidiano (prendo uno a caso) come “Il Foglio” si occupi di “politica” è un FALSO. Notoriamente è gestito da persone che rappresentano interessi privati, il cui obiettivo – con l’aggravante per l’intelligenza degli italiani di essere dichiarato, pubblico e documentato- consiste nel salvaguardare le rendite di posizione di specifiche famiglie e dinastie. E questo vale per tutti gli altri. Compresa la Rai che è “il regno dell’Anti-politica”.
Non è certo un caso che le discussioni, analisi, dibattiti sui risultati elettorali delle elezioni in Sicilia siano stati per lo più argomentati in maniera anti-politica.
Qui di seguito c’è il commento di un mio lettore, un siciliano per bene, che nel mio blog si firma Nino P. In maniera molto chiara ed elementare ha presentato la situazione reale elettorale siciliana:
PD: 505.922 voti nel 2008
      257.274 voti nel 2012
      Il calo è del -49%, pari a 248.648 voti in meno.
UDC: 337.108 voti nel 2008
        207.827 voti nel 2012
        Il calo è del -38%, pari a 129.281 voti.
PDL: 901.503 nel 2008
        247.351 nel 2012
        Il calo è del -73% in meno, pari a  654.152 voti persi.
M5S: 46.895 nel 2008
        285.202 nel 2012
       L’incremento è di un +512% pari a 238.607 nuovi voti conquistati.
Il PD, UDC e PDL insieme hanno perso 1.032.211 voti, solo in parte recuperati dai 5 Stelle. Mancano all'appello ben 793.504 voti.
Invece di fare polemiche sterili o trionfalismo fuori luoghi, i nostri politici dovrebbero cercare di capire come fare a recuperare la fiducia degli elettori. Lo slogan di Nello Musumeci era: io mi fido di voi.
Ebbene gli elettori, senz'altro più maturi e disincantati, hanno mostrato chiaramente che non si fidano più di loro!


Il risultato quindi equivale a una sconfitta storica dell’intera classe politica italiana (nessuno escluso, né a destra né a sinistra) e presenta come novità l’affermazione del movimento di Beppe Grillo.
Non esiste nessun altro tipo di lettura, perché “le cifre” e i “documenti oggettivi” sono, per l’appunto, politici. Qualunque affermazione contraria a questa non è utile alla collettività, è “anti-politica”, che piaccia o non piaccia.

Questo enorme preambolo era per introdurre la mia opinione sulla esternazione di reprimenda da parte di Beppe Grillo nei confronti di una candidata appena eletta che ha scelto di andare in televisione partecipando a un talk show. La persona in questione è un attivista del M5s (altrimenti non avrebbe potuto essere eletta) di conseguenza ha aderito a un programma, a un codice collettivo, a delle regole di comportamento che non sono “etiche o morali” bensì squisitamente politiche, il che è diverso. Si è quindi impegnata, a nome della collettività, ad interpretare esigenze della comunità. L’idea base di Grillo è “politica”, ovverossia ruota intorno al concetto di “gestione comune della cosa pubblica al servizio della collettività”. In Italia non esiste rete televisiva che si occupi di “politica”, perseguono tutte interessi privati. Tutte hanno aderito, pur con sfumature diverse, in maniera consociativa, al principio di promozione del concetto di “visibilità”, inteso come anticamera narcisista dell’Anti-politica. Beppe Grillo ha smascherato dall’inizio l’intera cupola mediatica televisiva italiana come “il regno dell’Anti-politica”.
In conseguenza della sua interpretazione ha stabilito il divieto per gli eletti di partecipare a dibattiti televisivi.  E’ un fatto notorio.
E’ un atto politico, non è un vezzo isterico.
E’ una linea politica.
Chi aderisce ad un partito (o un movimento) ne deve condividere la linea politica. Ma bisogna saperla riconoscere e condividere (e qui si apre il mondo del “voto secondo coscienza”!)
Chi sostiene che, in questo specifico caso, Grillo sia isterico o dittatoriale, sbaglia (se è in buona fede) oppure cerca di fare il furbo manipolatore (se è in malafede).
Si tratta di POLITICA.
Il M5s, in questo momento, è l’unica realtà immune dall’Anti-politica.
Forse finirà come gli altri.
Non lo sappiamo. Non si può dire. Gli eletti meritano il credito sulla fiducia: questa è la scommessa.
Noi non possiamo che sperare rimangano Politici.
La candidata eletta che ha commesso questo atto ha compiuto un gravissimo errore dimostrando, da subito, di non essere persona rispettosa delle “regole comuni” (base della Politica).
In Politica, la severità civica è la Somma Virtù. E’ la garanzia per la collettività.
Non c’entra nulla la dittatura, anzi.
L’Italia è stata messa in ginocchio dalla ”videocrazia” gestita in totale consociativismo.
La scelta di Beppe Grillo è molto chiara e netta: ha smascherato la Grande Truffa dell’Italia: la videocrazia oppiacea delle oligarchie del privilegio.

Se uno non lo capisce, allora è meglio che non si candidi neppure nel M5s.
E, se cominciano ad andare in video pure loro, allora vuol dire che anche il movimento di Beppe Grillo sta scegliendo l’Anti-politica.
Tutti  a casa a seguire i gladiatori al grande Colosseo della Vanità Narcisista, facendo il tifo per l’uno o il tifo per l’altro.
Tanto a decidere se il pollice è verso l’alto o verso il basso, sarà sempre Cesare. Perché l’ultima parola è sempre quella dell’Imperatore.

Per fare Politica, oggi, e farla come opposizione, c’è soltanto un’unica maniera e un’unica possibilità: disinnescare il meccanismo perverso che ha devastato la nazione, ovverossia sottrarsi al balletto narcisista di chi gestisce l’Anti-politica. Per chi fa politica, non comparire in televisione è, oggi, in Italia, un Atto Politico micidiale.

Chi conosce i media italiani, sa che le cose stanno esattamente così.

Tutto il resto sono chiacchiere dei cultori dell’Anti-politica.
I dati elettorali parlano chiaro e sono incontrovertibili.
I siciliani, la svegliata se la sono data.
Comunque vogliate vedere le cose, le cifre parlano chiaro.
La considero un’ottima notizia Politica.