All'alba degli anni'60, il più potente filosofo e sociologo dell'epoca, il tedesco Theodor Adorno, fondatore della celeberrima scuola di sociologia dell'università di Francoforte, lanciava il suo atto d'accusa contro la società consumistica di massa, ammonendoci sul grave rischio di estraneazione totale e definitiva che stavamo correndo, a nostra insaputa.
I suoi scritti di allora, insieme a quelli di Herbert Marcuse che insegnava in California, aprirono un nutrito e stimolante dibattito che poi sfociò nella più grande stagione di dissenso planetario mai registrato.
Oggi, 60 anni dopo, la sua eredità ancora ci conforta e ci aiuta a comprendere le modificazioni ambientali, psicologiche e sociali che stiamo affrontando nell'attualità, soprattutto in conseguenza della diffusione dei social network.
L'estate scorsa, sulla gazzetta filosofica, Consuelo Lezietti aveva pubblicato un suo contributo davvero stimolante che oggi propongo ai miei lettori suggerendoli alla vostra attenzione.
Buona lettura
(https://www.gazzettafilosofica.net/2018-1/luglio/il-consumismo-di-adorno-ai-tempi-dei-social-e-della-crisi/?fbclid=IwAR0kd4EXwMxiLOUBXQLifa2RhboZwa8WYlhHGHwS8l61aRFs4jPN_FAVjEc)
Il consumismo di Adorno ai tempi dei social e della crisi
La situazione diventa tanto più paradossale di fronte al sempre più marcato
divario tra il vero ricco, il grande imprenditore di multinazionali,
il politico – tanto per fare degli esempi – e tutti gli altri. Una situazione
che ricorda gli anni d’oro della classe sociale aristocratica, contrapposta al popolo e alla piccola borghesia.
Siamo ormai lontani dagli anni in cui la società proseguiva il suo
percorso verso quella che negli anni ‘60 era considerata la cultura
consumistica. Un autore che seguendo la strada di Marx
cercava di capire questa trasformazione è Theodor Adorno, filosofo e
sociologo tedesco, esponente di spicco della Scuola di Francoforte.
La critica alla società comincia con la constatazione del tramonto del mondo borghese-liberale e la nascita della società di massa, caratterizzata dalla monopolizzazione della
produzione e dal consenso di massa ottenuto grazie ai nuovi mezzi di comunicazione,
come il cinema, la radio e la pubblicità, i quali influenzano la
mentalità della collettività.
L’impianto marxiano della sua teoria si svilupperà presto in modo
autonomo. Adorno individua nella teoria marxiana una falla: il modello a
cui Marx fa riferimento è quello del capitalismo
liberale e concorrenziale, ma la società reale non ha mai funzionato
su questo modello. È subentrato il monopolio, lo sviluppo tecnico accelerato e il dominio imperiale sulle risorse
mondiali, consentendo alle classi dominanti di elevare il tenore di vita dei lavoratori, previsione che non era stata calcolata da Marx. All’innalzamento del tenore di vita e della quota
di acquisto dei beni di consumo dei lavoratori corrisponde un abbassamento della potenza e rilevanza sociale di essi. I lavoratori sono sì sfruttati ma anche gratificati dai beni
consumistici. Questa condizione inibisce il formarsi di una coscienza critica.
Anzi, l’avvento della società dei consumi ha favorito la percezione di
una società senza classi,
sviluppando un processo di livellamento: le differenze sono meno
visibili; tutti possono raggiungere un certo tenore di vita; tutti si
dilettano al cinema, una forma artistica più “democratica”
nel senso benjaminiano.
Il consumo diventa una fonte di gratificazione. L’oggetto diventa un mezzo per accrescere il culto feticista della personalità e il suo valore dipende solamente dal valore di
acquisto e dalla capacità di accrescere l’ego. Il consumo fornisce agli individui valori e senso.
Le considerazioni di Adorno, per quanto attuali, ci permettono di
cogliere la somiglianza, ma anche la grande differenza che intercorre
tra la società del consumismo degli esordi e del successivo
boom economico, dalla società odierna.
In passato infatti la diffusione del consumo di massa ha portato ad
un’accettazione comune, in nome di una vita più comoda e più libera e di
una maggiore democratizzazione del
benessere – mi riferisco al livellamento espresso da Adorno
– grazie alla quale scompariva la rigidità delle classi sociali del
passato. Anche laddove una persona era più benestante di
un altro vi era lo stimolo, dato dalla possibilità, di poterlo
raggiungere.
Diversa è la situazione odierna, caratterizzata da
una fase calante dello sviluppo economico, una crisi che ha investito
non solo tale aspetto ma anche quello esistenziale e
sociale. Il consumismo sta regredendo, perché è diminuito il potere di acquisto della classe media.
La positività che in esso si poteva trovare, cioè la garanzia di un
futuro
migliore e la possibilità di accrescere la propria fortuna grazie
alle proprie capacità, non esiste più. Il giovane di oggi vorrebbe
aumentare la propria possibilità di riuscita, ma si vede
bloccato dal sistema. Se in passato ad esempio lo studio era
garanzia di lavoro, anche maggiormente retribuito, oggi un ingegnere
avrà sicuramente uno stipendio mediamente più alto di un operaio,
ma entrambi si trovano sullo stesso livello sociale ed economico. Ancora più emblematica è la situazione degli studenti di materie umanistiche.
Uno studente di filosofia, per riprendere
un esempio del filosofo contemporaneo Galimberti, prima sapeva di
poter diventare professore, oggi non ha nemmeno più la forza di aspirare
a ciò. Forse oggi, più che di un livellamento, si può
parlare di “appiattimento” della condizione.
La situazione diventa tanto più paradossale quando a questo
“appiattimento” si coniuga un sempre più marcato divario tra il vero
ricco, il grande imprenditore di multinazionali, il politico –
tanto per fare degli esempi – e tutti gli altri. Una situazione che ricorda gli anni d’oro della classe sociale aristocratica,
contrapposta al popolo e alla piccola borghesia. Il
sistema sociale rischia perciò di diventare chiuso: gli sforzi per
“crescere”, se nell’epoca di Adorno procuravano una potenzialità
effettiva, oggi, spesso, risultano vani. Guardiamo ad esempio a
quanti laureati faticano per trovare un posto solido e non soggetto
al precariato, o al loro ritardo nell’avere una effettiva indipendenza e
autonomia.
Il consumismo fin dalle origini ci ha portati alla ricerca esasperata di “cose”,
creata da tecniche pubblicitarie tali da far apparire necessari beni
superflui. Oggi siamo
arrivati all’esasperazione di ciò. Non ci accontentiamo più di avere
un telefono funzionale, ma vogliamo l’ultimo modello, modello che
casualmente esce “a puntate” con modifiche talvolta minime
ma presentate come rivoluzionarie. Un controsenso se si pensa alla
crisi ma che in realtà ne rappresenta l’emblema: il sistema di pagamento
è rateizzato.
Il rischio di chi non soggiace al consumismo è quello di diventare dei reietti sociali
e addirittura quello che, chi non ha o chi non appare, sembra persino
“non essere”.
L’essere è sempre più minacciato, basta riflettere sul gergo
aziendale quando sostituisce la parola “persona” con quella di “risorsa
umana”, riducendola a essere inanimato, da cui attingere a
proprio piacimento.
Il consumismo di Adorno era avvalorato da una effettiva capacità di
acquisto, oggi ridotta e lo status sociale esisteva ma era mobile.
Al contrario, la società di oggi è formata solo da due condizioni:
quella delle élite e quella della classe media, nelle quali i membri
dell’una difficilmente riescono a sconfinare nell’altra.
Prendendo in esame la sola classe media (che comprende la maggior
parte della popolazione) possiamo notare come in essa gli individui
siano, non potenzialmente, ma effettivamente uguali, e
nessuno potrà mai sperare di avanzare ed entrare in quella elitaria. Proprio questo divario ha prodotto una massificazione di modelli di vita “altolocati”. È ciò che vediamo
tutti i giorni sui social network, nei quali dilaga la
volontà di mostrare uno stile di vita raffinato, in cui tutti siamo
esteti alla ricerca di godimenti eletti e sofisticati.
I social network ci permettono di colmare il vuoto lasciato da
questa diminuzione di potere d’acquisto e quindi di consumismo, dovuto
alla fine del boom economico. In essi la massa si crogiola in
questa parvenza, dimostrando a sé e agli altri l’eccezionalità della
propria vita. L’esaltazione dell’io si esprime tramite mezzi di massa, utilizzando un’estetica di
massa.
Facebook e Instagram hanno perciò permesso a milioni di
persone di “mostrare”, in una società dove l’avere è sempre più
minacciato. Il consumismo sembra essere irrimediabilmente
cambiato, aiutato in ciò anche dai social: se prima il consumismo
era fonte di un certo progresso, oggi forse è solo ridotto al
“mostrare”. Se prima esso aveva portato alla sostituzione
dell’“essere” con l’“avere”, oggi l’avere sembra lasciare spazio al
mero “mostrare”.
23 luglio 2018
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